“Il Muro non passerà più a Cremisan. L’Alta Corte di Israele ha rigettato la richiesta del ministero della Difesa israeliana di costruire il muro nella Valle di Cremisan”. Sprizza gioia da tutti i pori don Mario Cornioli quando al telefono annuncia la decisione della Corte israeliana di rigettare le istanze del Ministero della Difesa di Israele per costruire un muro di sicurezza nella valle di Cremisan, una zona verde, ricca di uliveti, vigneti e frutteti, e per questo fonte di lavoro e di sostentamento per tante famiglie del vicino villaggio cristiano di Beit Jala, nei pressi di Betlemme. “Il Triduo Pasquale è iniziato sotto i migliori auspici” dichiara il sacerdote italiano, da anni a Gerusalemme. Come è noto la costruzione di una parte del muro di separazione nella valle di Cremisan, nell’area di Betlemme, prevedeva il passaggio su terre agricole a rischio espropriazione (55 chilometri quadrati) di 58 famiglie di Beit Jala. Nell’espropriazione sarebbero stati coinvolti anche due monasteri salesiani, uno delle suore che gestiscono una scuola materna con circa 200 bambini cristiani e musulmani e l’altro dei monaci produttori del famoso vino di Cremisan.
Nove anni di attesa. Una battaglia legale cominciata nel 2006, fatta di udienze, ricorsi, rinvii, e che si è giocata non solo nelle aule di tribunale ma anche tra gli uliveti di questa valle dove dal 1° ottobre del 2011, i parroci di Beit Jala, allora era padre Ibrahim Shomali, radunano la comunità, e anche tanti pellegrini, per celebrare, ogni venerdì, una messa perché, “la nostra terra abbia giustizia” e per ribadire che “dalle nostre terre non ce ne andremo mai”. In questa battaglia la Chiesa cattolica locale, con il Patriarcato latino, non è stata mai sola. Con lei anche i sindaci del cosiddetto “triangolo cristiano” della Cisgiordania, formato oltre che da Beit Jala anche da Betlemme e da Beit Sahour. “Vogliono costruire il muro di separazione nella valle di Cremisan per poi espropriare le terre che appartengono ai cristiani palestinesi. Se ciò avverrà, tutta l’area sarà soffocata dalla morsa del muro, e i primi ad andare via saranno proprio i cristiani” avevano detto a Papa Francesco i sindaci, lo scorso febbraio, dopo un’udienza generale. I tre primi cittadini avevano poi mostrato mappe e foto al cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin. Il pericolo sembra adesso essere svanito con la decisione della Corte, sulla quale potrebbe aver pesato anche una certa pressione diplomatica messa in campo dai tanti rappresentanti occidentali che a più livelli sono stati sensibilizzati nella lunga querelle. Ne sanno qualcosa i vescovi di Usa, Ue, Canada e Sud Africa, componenti dell’Holy Land Coordination, che a gennaio si erano recati a Cremisan, su invito del patriarca latino Fouad Twal, per vedere da vicino la situazione. In una dichiarazione comune i vescovi dell’Hlc avevano espresso tutta la loro opposizione alla costruzione del muro esprimendo il loro impegno a sensibilizzare le istituzioni dei rispettivi Paesi sulla questione una volta rientrati in patria. Un mese prima (dicembre 2014) erano stati, invece, gli Ordinari cattolici di Terra Santa a denunciare che “il muro va contro il diritto internazionale e che questo non serve a Israele per garantire la sicurezza dei suoi confini prima del giugno 1967, ma per proteggere gli insediamenti costruiti illegalmente su terreni confiscati negli anni ’70 e per fornire una opportunità di espansione alle colonie di Gilo e Har Gilo”.
Una grande vittoria. “Si tratta di una grande vittoria – spiega l’avvocato Raffoul Rofa, direttore della Society of St. Yves che opera in seno al Patriarcato latino e che ha seguito il caso – la Corte ha rigettato la costruzione del muro nel percorso scelto dal ministero della Difesa di Israele. Questo, infatti, non avrebbe garantito l’integrità dei due monasteri salesiani, delle terre agricole che appartengono a famiglie di Beit Jala. Le nostre istanze sono state accettate. Oggi, dopo nove anni, possiamo parlare di grande vittoria legale”. In una nota la Society of St. Yves illustra alcuni punti della decisione: “la Corte ha chiesto allo Stato israeliano di considerare altre alternative meno dannose per la popolazione locale e per i monasteri siti nella valle di Cremisan e ha ribadito che il percorso suggerito dal ministero della Difesa israeliano non è l’unica alternativa in grado di assicurare la sicurezza e di provocare meno danni possibili”. Nella sentenza la Corte ha stabilito che “il Comando militare deve riconsiderare il tracciato. A riguardo uno dei due giudici della Corte ha aggiunto, a titolo personale, che ogni progetto futuro dovrebbe assicurare l’integrità e la contiguità dei due monasteri e la loro accessibilità da parte della popolazione locale. Ciò significa che i due monasteri dovrebbero rimanere sul lato palestinese del muro”. Con questa decisione, afferma l’organizzazione umanitaria, “la Corte ha riconosciuto che il Muro, nel suo tracciato previsto, era stato progettato per confiscare una vasta area di terre di proprietà delle famiglie di Beit Jala”. “Siamo felici, tutti hanno vinto, anche Israele che ha dimostrato di avere sensibilità verso la Terra Santa, verso i suoi abitanti e i loro diritti – ha detto il patriarca latino,Fouad Twal, in una conferenza stampa a Cremisan – ringrazio tutti coloro che si sono impegnati in questa causa, sia a livello locale che internazionale, la Santa Sede, i vescovi statunitensi, e tanti altri. È una vittoria di tutti”.
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