Oltre 125mila civili sfollati, 139 militanti della formazione ribelle “Bangsamoro Islamic Freedom Fighters” (Biff) uccisi, 63 scuole danneggiate. Una situazione che ripropone gravi scenari di violenza, già vissuti dalle Filippine per lunghi anni e che contiene elementi molto seri di vera e propria crisi umanitaria. È questo il bilancio di un mese di combattimenti a Mindanao, nel Sud del Paese, che hanno avuto inizio dopo l’uccisione, lo scorso 25 gennaio, di 43 appartenenti alle forze di polizia, durante gli scontri a fuoco con le milizie e del Milf (“Moro Islamic Liberation Front”) e del Biff a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, che rivendicano l’indipendenza della comunità musulmana. Un forum di organizzazioni non governative e associazioni locali ha inviato nei giorni scorsi all’Agenzia Fides un appello per il cessate-il-fuoco, affinché vengano ripristinate le condizioni per l’accordo di pace, denominato Bangsamoro Basic Law (Bbl), siglato un anno fa tra il Governo e il Milf, che faceva presagire una composizione dei conflitti e delle tensioni con la minoranza musulmana.
Appello per la pace dei capi interreligiosi. Un secondo appello è stato lanciato dai leader del Consiglio interreligioso (Ifcl), che fa capo al Movimento per il dialogo islamo-cristiano “Silsilah” – fondato nel 1984 dal missionario del Pime p. Sebastiano d’Ambra – al fine di restituire un “clima di riconciliazione” tra cristiani e musulmani. Come riporta “Asia News”, nel testo tutti i filippini vengono invitati a mostrare “umiltà e saggezza, perché non si creino conflitti interni sanguinosi” e a favorire “la collaborazione reciproca”, a dispetto delle differenze di natura “culturale, religiosa e individuale”; i ribelli filo-islamici vengono esortati a trovare un punto comune e a collaborare, per favorire i colloqui di pace e costruire una società “pluralista”. Al momento – si sostiene – “non vi è una formula chiara per la pace”, ma i vertici interreligiosi invitano i capi del Moro ad “accettare l’offerta delle autorità politiche e di governo di Manila che rappresenta un buon punto di partenza”. “La pace è ancora possibile”, conclude l’appello.
Il ruolo della Chiesa filippina. Mentre il Paese è diviso sull’accordo di pace, a causa delle violenze in atto, che ne minano la credibilità, il presidente delle Filippine, Benigno Aquino, ha sostenuto di recente che “il paese è a un bivio”, aggiungendo che la legge che istituisce la nuova regione autonoma musulmana – in discussione alla Camera dei Rappresentanti – “è il risultato di diciassette anni d’intensi negoziati e il sacrificio di quanti hanno dato la vita per la pace sarebbe inutile se il Congresso non la approverà”. Aquino, durante un discorso alla Nazione, ha chiamato a far parte della speciale commissione incaricata di esaminare la legge, il presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Socrates Villegas, e i cardinali Luis Antonio Tagle e Orlando Quevedo, autore di una lettera aperta ai senatori e membri della Camera dei rappresentanti, per incoraggiarli a votare “sì” al testo, definito “la speranza più significativa per raggiungere una pace giusta e duratura a Mindanao”.