DIOCESI – Per antichissima tradizione al Sabato santo la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma rimane in silenziosa preghiera. I sigilli posti al sepolcro non hanno, però, tacitato la Parola – il Re dorme, canta la liturgia – ma hanno imposto il silenzio ad altre voci: si è spento, infatti, il vociare violento e ironico dei crocifissori, il pianto delle donne. Tace anche Maria, la Madre. Il suo silenzio, però, è pervaso di fiduciosa attesa. Il sabato santo è il momento del silenzio di Dio, del silenzio della Parola che dice di più che non tutte le parole. Dopo che il Cristo ha finito di dire con le parole, ora dice con i gesti, con la sofferenza, con la croce e dice anche col silenzio della morte. L’indicibilità di Dio è detta nel silenzio del Sabato santo. L’incarnazione, non è stata compiuta soltanto per darci un risultato. L’incarnazione di Dio nel suo Figlio, con tutte le sue fasi, è il modo con cui Dio si dice. Il suo abbassarsi (kénosis) non è mai superato. Dio ci ha manifestato il suo modo di essere tu cur: è assoluta donazione di sé! Per questo in Dio la povertà e la ricchezza sono la stessa cosa, perché si è donato totalmente, non ha più niente: è amore, è puro amore!
Nell’umanità di Cristo è detta e realizzata questa donazione assoluta di Dio fino all’Eucaristia che è il passo oltre la morte, oltre la discesa agli inferi, rendendosi disponibile per noi fino a cosificarsi! Di conseguenza «tra la discesa agli inferi e l’apparizione del Cristo risorto si pone un mistero di silenzio, assolutamente inaccessibile allo sguardo umano».
Nella famosa lettera pastorale «La Madonna del Sabato Santo», il cardinale C. Martini immagina di introdursi nella casa di Giovanni e dialogare con Maria; lì si richiama alla casa di Nàzareth, dove la Vergine aveva ricevuto l’incredibile annuncio che il Salvatore del mondo sarebbe nato dal suo grembo. Nàzareth segna, perciò, l’inizio del cammino di attesa di Maria. A Bethlemme si compiono, poi, i giorni del parto e dà alla luce Gesù; poi attende la manifestazione del Figlio come Messia; nella Passione attenderà, ma invano, che fosse riconosciuto innocente; sul Calvario – dolente – attende che la morte ponga fine alle sofferenze del Crocifisso. E quando il suo corpo, avvolto dal sudario della morte, viene deposto nel sepolcro, Maria ancora attende. Attende il compimento della promessa di Gesù, quello della risurrezione. Vogliamo anche noi, in questo grande Sabato, vegliare attendendo l’alba del terzo giorno! A sostanziare la nostra preghiera è la Parola di Dio, che nella solenne Veglia pasquale ci fa ripercorrere la Storia della salvezza.
La celebrazione della Veglia pasquale è il cuore dell’anno liturgico. I primi cristiani la celebravano durante la notte. Una liturgia semplice, all’inizio, che durante i secoli si è arricchita di significato e di nuovi elementi. Sant’Agostino invitava i cristriani ad essere svegli «in questa veglia che è come la madre di tutte le veglie e nella quale tutto il mondo veglia».
E ancora: «Che cosa si poteva fare di più conveniente, se non ripetere con la nostra veglia il suo risveglio dai morti?».
La notte nella quale il Signore è risorto da morte segna il vertice di tutta la Storia della salvezza. Bene lo esprime la lunga liturgia della Parola, che da Genesi ci conduce fino al sepolcro vuoto di Cristo.
LA NUOVA CREAZIONE. Le letture della Veglia pasquale sono rilette dalla Chiesa nella luce del loro compimento: il Crocifisso risorto. Il Lezionario propone ben sette letture dell’Antico Testamento, l’epistola paolina5 e il racconto pasquale. 6 Dopo la creazione della luce da parte di Dio, il redattore biblico annota: «E fu sera e fu mattina: giorno primo (yōm êchād)».7 A rigori, stando alla Tradizione ebraica, dovremmo tradurre yōm êchād con «giorno unico/uno». Questo «giorno unico» è profezia del giorno escatologico, 8 in cui Dio stesso sarà luce senza tramonto per il suo popolo.9 I cristiani hanno riletto questo giorno, e quanto lo precede, in riferimento a Cristo creatore. Commentando Gen 2,4 (LXX),
CLEMENTE ALESSANDRINO osservava: «L’espressione: Dio creò in quel giorno significa: in Lui e per Lui egli ha fatto tutte queste cose; Lui fuori del quale niente è stato fatto, designa l’operazione del Figlio di cui David disse: Quello è il giorno che Dio ha fatto (Sal 117,24)». Ma è soprattutto l’uomo a essere creato in Cristo, al punto che possiamo affermare che la sua identità profonda non deriva tanto dal primo Adamo, ma dal secondo e ultimo Adamo, Gesù Cristo. Non è tutto: se Dio ha creato l’uomo in Cristo è perché nel suo Figlio divenga pienamente partecipe della sua natura divina (divinizzazione). Questa partecipazione si compie con il sorgere del «primo giorno della settimana», nel quale il Risorto inaugura la nuova creazione (kainh . kti,sij). Tra lo yom echad, il giorno unico, e il kuriakh, e`me,ra, il giorno kyriale, del Signore (e`me,ra tou/ Kuri,ou) si snoda tutta la Storia della salvezza, che ha un suo significativo inizio in Abramo, il padre della fede. Il racconto di Genesi (seconda lettura) profetizza, nel sacrificio di Isacco, l’offerta che Dio farà del suo Figlio per la salvezza del mondo. Nell’agnello è prefigurato nientemeno che l’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo. L’immolazione dell’Agnello è inscritta, perciò, nel volere e nell’agire di Dio fin dalla creazione.
Il disegno creatore corre perciò, verso l’evento pasquale. Possiamo dire anche questo: l’Agnello, misticamente, è già stato immolato nel cuore stesso della Trinità, nel momento in cui Dio ha pensato al suo Figlio e ha creato il mondo. Gesù, morto e risorto, diviene così la chiave ermeneutica per capire la creazione e la redenzione. Sarà lui, Agnello e Pastore, a condurre l’umanità dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio, come ci ricorda Esodo (terza lettura); sarà lui il fondamento (quarta lettura) del popolo santo di Dio. Questo disegno si è mirabilmente compiuto nella Pasqua. E difatti, Isaia (quinta lettura), ci ricorda che la Parola di Dio non torna a Lui senza effetto. Oramai, nel Cristo, Verbo fatto carne, zittito sulla croce e risorto immortale si è stabilita un’alleanza nuova ed eterna tra Dio e l’umanità. Questa non è abbandonata alla corruzione, ma è sostenuta e guidata con la Sapienza che viene dall’alto (sesta lettura).
Lo Spirito dona l’intelligenza delle Scritture e porta alla verità tutta intera.22 Dio perciò agisce nella storia, ieri e oggi; agisce per la fedeltà del suo Nome. Quanti sperimentano la sua salvezza sono chiamati ad essere suoi testimoni con la coerenza di vita (settima lettura).23 L’epistola paolina tratta dalla Lettera ai Romani, 24 ci ricorda, infine, il dono pasquale del battesimo, pegno di quella vita immortale verso la quale la comunità cristiana è incamminata giorno dopo giorno. La Chiesa, come pure tutto il mondo e la creazione intera, sono sotto il segno della morte e della risurrezione, intimamente congiunte nella Pasqua del Signore risorto.
IL PRIMO GIORNO DELLA SETTIMANA. Giovanni colloca il racconto della tomba vuota «il primo giorno della settimana».
Al v. 26, quando introduce la venuta del Risorto tra i discepoli, parla invece di «otto giorni dopo». Sono due modi di ricordare l’unica realtà: la nuova creazione inaugurata dal Signore. C’è però anche una differenza: con la dicitura «il primo giorno» si sottolinea la sua novità, mentre con l’altra, «otto giorni», la sua pienezza. Per capirne tutta la ricchezza richiamiamo qui brevemente il disegno che Giovanni sviluppa all’interno del suo racconto riguardo al tempo. Come è noto, l’Evangelista inizia la sua narrazione collocando la testimonianza del Battista, le prime chiamate e le nozze di Cana all’interno di una settimana; a questa segue il giorno del Messia, dove Gesù opera con il Padre e compie il disegno creazionale.
Segue, con l’episodio di Betania, un’altra settimana che culminerà nell’«ora» di Gesù.31 Dopo l’«ora», nella quale si compie il mistero pasquale, si entra nel riposo di Dio,32 a cui segue la settimana definitiva, l’ottavo giorno della nuova creazione. 33 La vita di Gesù possiamo così racchiuderla in tre grandi periodi: il grande giorno, ove opera con il Padre,34 la grande «ora» 35 e il giorno senza tramonto.36 Tutti e tre questi periodi sono preceduti da un episodio nuziale: Cana, Betania e l’incontro di Maria con Gesù risorto nel giardino. Tutto questo ci deve ricordare che anche noi siamo dentro questo evento straordinario. Maria si reca al sepolcro quando ancora è buio. Per Giovanni la tenebra ha un valore simbolico ed indica che Maria non crede che Gesù è risorto. Per lei è solamente morto! Difatti va al sepolcro senza aromi e profumi.37 Non ha fede nella vita, di cui il profumo è simbolo, come lo era a Betania, dopo che Lazzaro era stato riportato in vita. Ella visita il sepolcro, il luogo della morte, e vede che la pietra è stata rimossa. Da questo deduce che hanno portato via il Signore. Maria non solo piange la morte di Gesù ma anche la sua perdita definitiva: persino il corpo è stato sottratto. LA RICERCA DEL CORPO DI GESÙ. La pericope della Maddalena al sepolcro sottolinea in particolare un riferimento di tipo nuziale. Maria di Màgdala ha visto che la pietra è stata tolta, ma non ha capito; l’unica cosa da lei verificata è che «hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto». 38 Due discepoli corrono, ma l’evangelista sottolinea: «Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte».
Parlare di bende è un po’ incomprensibile, forse potremmo parlare di «lenzuola» e capiremmo meglio. Abbiamo una distinzione tra il «sudario» avvolto in un luogo a parte ed i «teli» posati là, cosicché ciò che vedono i due discepoli è una sorta di letto disfatto, in cui ciò che si riferisce alla morte di Gesù è messo da parte e ciò che può essere interpretato come un corredo per uno che vi abbia dormito e quindi come segno di vita, è messo in evidenza. La sottolineatura è data poi dalla presenza dei due angeli vestiti di bianco, uno a capo, l’altro ai piedi del luogo dove avevano deposto il Signore. Dobbiamo concludere che l’autore ci sta descrivendo un letto nuziale. Ciò Pietro non lo capisce, lo intuisce invece il discepolo che Gesù amava: «E vide e credette», oppure, altra possibile traduzione, «vide e iniziò a credere». Cosa credette? Di essere di fronte a un letto nuziale! In ogni caso sta di fatto che c’è una differenza tra Pietro che non riesce a capire, e il discepolo amato da Gesù, che riesce a entrare nel senso nascosto e a rendersi conto che quel luogo può essere considerato come il letto della consumazione delle nozze. Gesù aveva utilizzato quel luogo come luogo del riposo; riposo dello sposo che aveva già consumato il suo amore e adesso si preparava a riviverlo con la nuova comunità. E chi è questa nuova comunità? Chi è questa nuova sposa invitata a rivivere l’esperienza della consumazione dell’amore? Che cosa videro Simon Pietro e il discepolo che Gesù amava? La nuova versione del Lezionario ha portato alcuni miglioramenti significativi, anche se c’è bisogno ancora di qualche precisazione. La traduzione precedente41 che parlava di «bende per terra» e di «sudario piegato in un luogo a parte» era proprio scorretta. La scena del sepolcro vuoto, in base a questa descrizione, provocava nell’immaginario una scena simile: le bende, come strisce di stoffa, disordinatamente sparpagliate per il pavimento, mentre il sudario è pensato come un fazzoletto ben ripiegato e collocato da una parte. Una scena del genere non dice niente di preciso, al massimo una gran confusione. La nuova versione42 migliora la resa, traducendo: «i teli posati là» e «il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte». Si potrebbe ancora migliorare e la traduzione rendendola così: «Chinatosi, vide le tele giacenti, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le tele giacenti, e il sudario, che gli era stato posto attorno al capo, non giacente con le tele, ma arrotolato nello stesso posto».
Cerchiamo di capire meglio. Giovanni è stato testimone alla morte e alla sepoltura di Gesù: ha potuto vedere come era stato collocato il suo corpo nel sepolcro. Nella prassi funeraria degli ebrei non esisteva niente di simile alle mummie egiziane; non si usavano strisce di stoffa, ma un grande lenzuolo che avvolgeva tutto il corpo, dopo che questo era stato spalmato di olio profumato; poi la stoffa del lenzuolo veniva fatta aderire al corpo con due o tre legacci, all’altezza del collo, della vita e dei piedi. L’insieme di queste stoffe di lino è detto da Giovanni ta. ovqo ,nia; in latino è reso con linteámina e deve essere tradotto in modo generico con “tele” (o “teli”). Quindi, per descrivere la posizione di questi teli Giovanni non fa riferimento al pavimento, ma usa il participio del verbo che vuol dire giacere (in greco kei,mena): difatti il traduttore latino ha correttamente tradotto con «vidit linteámina pósita». Perché l’evangelista insiste tanto nel descrivere questo particolare? Che cosa vuol dire con ciò? Evidenzia un contrasto: le tele non erano più su, ma erano andate giù! Dobbiamo immaginare che il lenzuolo sia rimasto intatto, i legacci chiusi, ma il tutto era afflosciato, le tele si erano sgonfiate, perché il corpo non c’era più. Sembrava quasi che ci fosse ancora, dato che tutto era perfettamente intatto. C’è ancora un particolare: il “sudario”, che in greco (to . souda,rion) indica semplicemente un fazzoletto. Non era messo sulla faccia per coprire il volto, ma veniva arrotolato intorno al viso, nella composizione della salma per conservare chiusa la bocca. Infatti il verbo greco utilizzato (evntuli,ssw) non vuol dire “piegare”, ma “arrotolare”: quindi il narratore vuol dire che il sudario, rimasto arrotolato, non era sgonfio, ma sollevato. Il corpo di Gesù fu composto così nel sepolcro. Ora però il testimone oculare nota che, in contrasto con la posizione delle altre tele, il sudario era arrotolato, non sgonfio, ma sollevato come prima. L’espressione greca avlla. cwri.j significa proprio: «ma diversamente» ed evidenzia il contrasto fra la posizione delle tele e quella del sudario. Eppure si trovava nello stesso posto (eivj e[na to,pon, ovvero in unum locum, come traduce il latino). Letteralmente l’espressione vuol dire: in un posto; ma se è solo questo, l’indicazione è davvero banale e inutile, giacché tutte le cose sono «in un posto».
L’uso dell’aggettivo numerale in un caso simile non è previsto dalla lingua greca, ma Giovanni si esprime con una formula semitica, per cui il numerale uno corrisponde all’aggettivo «stesso, medesimo». Pertanto la strana espressione giovannea intende ribadire che il sudario non era in un altro luogo, bensì nello stesso di prima: nessuno lo aveva tolto ed era ancora lì dove lo avevano messo. Ma l’effetto prodotto era strano: infatti, poteva sembrare che ci fosse rimasta solo la testa, dal momento che il sudario, arrotolato e spesso, teneva sollevate le tele nella zona del capo, senza che nessuno avesse rimosso niente. Ecco che cosa vide il discepolo amato. Vide una situazione tale che nessun agente umano avrebbe potuto produrre: nessuno infatti avrebbe potuto portare via il corpo e lasciare le tele in quello stato. Vide una situazione umanamente inspiegabile e credette alle Scritture e alla parola stessa di Gesù. La risurrezione quindi non è presentata come una rianimazione del cadavere, ma come una “sparizione” del corpo, che implica una trasformazione totale dell’essere di Gesù. Egli infatti lasciando le tele funebri nel sepolcro, si presenta ai discepoli con il suo vero corpo: è lo stesso di prima, eppure vive in una dimensione totalmente nuova.
È l’assoluta novità del Risorto. Lazzaro uscì dal sepolcro, portando cioè con sé i segni della morte, con le mani e i piedi ancora bloccati dai “legacci” (keiri,ai) e il viso “circondato, avvolto” (periede,deto) dal sudario: 44 Gesù, al contrario, lascia dentro tutte le tele funebri e semplicemente “sparisce”. A questo punto l’evangelista interviene direttamente nel testo per dire che i discepoli non avevano ancora capito; così ribadisce come la comprensione piena e matura dell’evento di Cristo si abbia solo dopo la Pasqua. Infatti, solo dopo l’esperienza dell’incontro con il Risorto, gli apostoli capirono tutto il senso della storia precedente. Capirono che la risurrezione è l’intervento decisivo e creatore di Dio che ha trasformato completamente il corpo umano di Gesù, facendolo entrare in una dimensione nuova, annuncio e garanzia anche della nostra risurrezione.
NON AVEVANO ANCORA COMPRESO LA SCRITTURA. Colpisce, ma la pericope evangelica non presenta il Signore risorto. Ci si aspetterebbe magari una sua descrizione particolareggiata, un suo apparire sfolgorante e glorioso e invece di lui neppure l’ombra … Sì, ne parla Maria ma per dire che l’hanno portato via. E poi quante perplessità, quante cose viste e non capite, quanto silenzio … Come mai? È un fatto, ma dopo la risurrezione la presenza del Signore è altra e va ben al di là di ogni attesa. I segni o gli indizi della risurrezione presenti nel sepolcro non bastano, però, a suscitare la fede, a sostenerne il cammino, ma sono necessarie le sante Scritture, che rendono comprensibile l’evento collocandolo nella rivelazione del piano di Dio ed escludendo le false piste di rappresentazione della realtà del Risorto e della sua risurrezione. Le Scritture, peraltro, rimarranno sempre disponibili a ogni generazione, mentre i segni del sepolcro sono transitori. Leggendo le Scritture sante con l’intelligenza della fede, i discepoli dovrebbero scoprire come la realtà della risurrezione non sia estranea al rivelarsi di Dio, alla sua autodonazione per la salvezza dell’umanità. Fino al momento della corsa alla tomba anche il discepolo amato non aveva ancora capito la vicenda di Gesù alla luce delle Scritture, ma ora, di fronte a quanto ha visto nel sepolcro, comincia in lui il cammino di comprensione delle Scritture sante, quello che lo porterà ad assumere per eccellenza la funzione testimoniale, quella che all’inizio del quarto vangelo era propria di Giovanni Battista. Nella luce della Pasqua, egli potrà allora ripensare anche al mistero della morte di Gesù, e scoprire in quel costato trafitto, da cui erano sgorgati sangue ed acqua, la rivelazione piena e definitiva della verità dell’amore di Dio!