Nel messaggio “Urbi et Orbi” pronunciato il giorno di Pasqua da Papa Francesco, il pontefice ci ha ricordato che “i cristiani sono i germogli di un’altra umanità, nella quale cerchiamo di vivere al servizio gli uni degli altri, di non essere arroganti ma disponibili e rispettosi” e che “questa non è debolezza ma è forza!”. Sono parole che, di fronte ai continui episodi che caratterizzano il nostro tempo e che rinviano a forme di malcostume, degenerazione del potere, soprusi e, finanche di criminalità e violenza diffusa, interrogano le nostre coscienze invitandoci a mettere in discussione il nostro quotidiano.
Quest’altra umanità che i cristiani sono chiamati a far germogliare sulla terra, ci svela quanto la via dello sviluppo, in una società sempre più poliarchica e complessa, spesso priva di punti di riferimento morali, richieda un’ecologia umana quale barriera contro ogni forma di corruzione nell’esercizio del potere e, più in generale, di qualsiasi forma di dominio degli uomini su altri uomini. A dieci anni dalla morte di Giovanni Paolo II, le riflessioni su questi temi contenute nella Centesimus Annus ed il richiamo all’inclusione sociale contenuto nell’Evangelii Gaudium ci spingono a farci portatori di una visione del potere come servizio, capace di promuovere l’inclusione sociale degli ultimi e, per questa via, di promuovere lo sviluppo umano integrale.
La corruzione, in ogni sua forma o manifestazione, si pone in netto contrasto con i valori espressi dal magistero sociale, quali la dignità della persona, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, la carità, l’opzione preferenziale per i poveri, la destinazione universale dei beni. Essa, anteponendo sistematicamente l’interesse di pochi e la tutela delle rendite di posizione alla ricerca del bene comune ed incidendo sul corretto funzionamento delle istituzioni politiche ed economiche, produce una sottocultura che si traduce in un ordine sociale a sua volta corrotto, che compromette lo sviluppo materiale, sociale e spirituale di un popolo provocando ingiustizie e povertà. Quando ciò accade, quando cioè l’egoismo e la sopraffazione dei più deboli divengono i principi cardine su cui si regge la convivenza sociale in quello che chiamiamo il circolo vizioso delle istituzioni estrattive, è la persona a rimanerne ostaggio, provocando in essa rassegnazione e umiliazione.
Una simile disumanizzazione dei meccanismi di convivenza tra gli uomini non può essere né accettata, né tollerata. Contro di essa, l’insegnamento sociale della Chiesa contrappone la via dell’umiltà contro la sopraffazione del prossimo, dell’inclusione contro l’egoismo, secondo una visione che rinvia nello stesso tempo ad una dimensione individuale e ad una istituzionale.
Il riferimento a quest’ultima ci ricorda che le istituzioni non sono eticamente e culturalmente neutre ma riconducibili alle idee e agli ideali iscritti nella cultura civile di un popolo. La dottrina sociale della Chiesa suggerisce l’adozione di un modello istituzionale inclusivo, democratico e aperto, che favorisca la partecipazione ai processi decisionali e la contendibilità delle opportunità quale efficace strumento di contrasto alla corruzione e presupposto stesso di un’ecologia umana. La sfera istituzionale si lega indissolubilmente a quella individuale, completandola e rafforzandola; nello stesso tempo, il rafforzamento di quella individuale richiede istituzioni in grado di promuoverne la trasformazione in un solido ordine sociale capace di fare da argine alla corruzione e ad ogni forma degenerativa del potere.
Adottando una prospettiva antiperfettista, secondo cui “l’uomo tende verso il bene, ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere a esso legato” (Centesimus Annus, 25), il problema non è mai il potere in sé, bensì le regole che ne governano i processi di appropriazione e di gestione del consenso, oltre ovviamente a come esso viene esercitato. Il problema interroga dunque in prima battuta la sfera etica ma, nello stesso tempo, richiede soluzioni sul piano strutturale e, quindi, istituzionale.
L’insegnamento espresso dalla dottrina sociale della Chiesa sulla dimensione morale della rappresentanza politica, la sua visione del potere come servizio e i suoi antidoti di natura istituzionale contro qualsiasi forma di corruzione, ci invitano quindi a rimettere al centro del dibattito politico la ricerca del bene comune e, in questa prospettiva, a ricercare nuovi equilibri istituzionali nei rapporti tra politica e amministrazione, tra settore pubblico e società civile, tra bene comune e interessi di parte.