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Rom, soltanto 1 su 5 vive nei campi nomadi Discriminati i minori

RomFrancesco Morrone

Odiati, segregati e ignorati. È questa la situazione che vivono i rom residenti nel nostro Paese, stando a quanto emerge dal primo rapporto nazionale sulla condizione di rom e sinti in Italia. Il documento, presentato oggi a Roma dall’Associazione 21 luglio in occasione della Giornata internazionale dedicata a queste popolazioni, è stato consegnato anche alla presidente della Camera Laura Boldrini. Il rapporto, oltre a scattare una fotografia impietosa delle condizioni del popolo rom in Italia, raffigura il nostro come un Paese profondamente intollerante verso questi gruppi etnici e presenta alcuni dati che fanno crollare molti degli stereotipi radicati nell’immaginario collettivo. Sono a malapena 180mila, infatti, i rom e i sinti che vivono nel nostro Paese e rappresentano soltanto lo 0,25% della popolazione. A dispetto di chi ritiene l’Italia “invasa” dai rom, quindi, la nostra è una delle percentuali più basse fra tutti i Paesi d’Europa. Altro luogo comune sfatato dai dati del rapporto è quello che vede i rom come una popolazione nomade: secondo un’indagine sulla condizione di rom e sinti in Italia diffusa dalla Commissione diritti umani del Senato, soltanto il 3% di tutta la popolazione è effettivamente nomade.

Le dichiarazioni dei politici.
Sebbene la metà dei rom e sinti presenti in Italia abbia la cittadinanza italiana, il sentimento di insofferenza verso questa popolazione raggiunge vette da record. Secondo i dati diffusi da un autorevole istituto di ricerca americano che ha indagato l’entità dei sentimenti antizigani (il razzismo verso i rom) in 7 Paesi europei (Italia, Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Grecia e Polonia), il nostro Paese conquista addirittura il primato. La ricerca del Pew Research Centre dimostra, infatti, come l’85% degli italiani mantenga un’opinione totalmente negativa nei confronti dei rom. A conferma del forte nesso fra le politiche discriminatorie e il radicato antiziganismo presente in Italia, c’è un dato sottolineato con forza dall’Associazione 21 luglio: “Solo nel 2014 sono stati registrati 443 episodi di incitamento all’odio, di cui 204 di grave entità – hanno spiegato i rappresentanti dell’associazione – e di questi 400 episodi, l’87% risulta riconducibile a esponenti politici e personalità pubbliche”. Se l’europarlamentare della Lega, Gianluca Buonanno, aveva definito poche settimane fa i rom “la feccia della società”, oggi il leader del suo stesso partito ha rincarato la dose: “I campi rom? Li raderei tutti al suolo”, ha dichiarato questa mattina Matteo Salvini. L’idea espressa dal capo della Lega è quella di risolvere l’emergenza rom abbattendo i campi nomadi, dando alle famiglie un preavviso di sfratto di sei mesi, al termine del quale scattano le ruspe. L’emergenza abitativa dei rom è una delle più scottanti e di difficile gestione per le amministrazioni locali. Inoltre, è opinione diffusa che tutti i rom vivano nei campi nomadi. In realtà, come testimonia il rapporto presentato oggi, dei 180mila rom e sinti presenti nel nostro Paese soltanto in 40mila vivono nei campi.

I figli del campo.
Nel documento si evidenzia poi come la maggior parte dei campi nomadi, anche quelli organizzati e gestiti dalle autorità locali, rientri perfettamente nella definizione di “baraccopoli” adottata dalla Un-Habitat delle Nazioni Unite. In pratica, gli elementi di criticità che sono stati riscontrati nei campi nomadi italiani hanno spinto l’Onu a definirli senza mezzi termini “luoghi di sospensione dei diritti umani”. Il diritto a un alloggio adeguato per il popolo rom è stato sancito in maniera inequivocabile dal Comitato etico delle Nazioni Unite, che ha elencato con precisione tutti i criteri adatti a creare un alloggio dignitoso. Ma a subire gli effetti più devastanti della segregazione abitativa e dell’esclusione sociale che circondano i rom sono soprattutto i minori. Secondo il rapporto, in un caso su cinque un ‘figlio del campo’ non inizierà mai un percorso scolastico, e da piccolo sarò fino a 60 volte maggiore la probabilità, rispetto a un suo coetaneo, di essere segnalato al Servizio Sociale. La sua aspettativa di vita, inoltre, risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione, mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia.