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“Pillole di vita” Amare vuol dire lasciarsi ferire e queste ferite sono il segno che siamo viventi

Ricordiamo l’apputamento di domenica 12 Aprile alle ore 16.00 presso il Monastero Santa Speranza (vicino alla Caritas diocesana) si terrà l’ultimo incontro di scuola di preghiera per quest’anno pastorale

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza sulle letture di domenica 12 Aprile.

Puntuale, come ogni anno, Tommaso, detto “Didimo”, ovvero il “Gemello”, ci da’ appuntamento nella pagina del Vangelo di Giovanni che si legge la seconda domenica di Pasqua (20,19-31), un brano che lo ha reso in un certo senso “famoso” e noto a tutti come colui che “se non vede non crede”. Proprio per questo, vien voglia di andare oltre le usurate e anguste rime dei luoghi comuni, per lasciarci portare più in là dalla Parola. Dicevamo di Tommaso …
La prima volta che interviene attivamente nel quarto vangelo è al cap. 11, quando Gesù decide di tornare in Giudea, a Betania, per la morte del suo amico Lazzaro, pur sapendo che i Giudei cercavano di catturarlo: “allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». E’, dunque, un uomo coraggioso e, forse, per questo non si trovava nel luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, con le porte ben chiuse.

La seconda volta che “sentiamo” parlare Tommaso è al cap. 14, all’interno dei così detti discorsi di addio di Gesù, il quale ha appena detto ai discepoli che sta per andare al preparare loro un posto nella casa del Padre, un luogo del quale essi dovrebbero conoscere la via; e lui interviene: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Tommaso, così tanto attaccato al maestro, tanto da volerlo seguire a rischio della vita, ora è confuso, come se non sapesse più fino in fondo chi è Gesù e dove sta andando. La sera di quel giorno, il primo della settimana, Tommaso, ormai, lo sa, ha visto dove è andato Gesù, o, meglio, sa che è morto, che è stato deposto in un sepolcro e, forse, affrontando il rischio di essere catturato anche lui dai capi dei giudei, cerca proprio nella morte la via per seguirlo! Quando gli altri discepoli gli dicono di aver visto il Signore, non ci può credere; ora che ha capito qual è la via, non può credere che Gesù sia “sfuggito” alla morte: il Gesù che lui conosce, in cui ha creduto e crede deve portare sul suo corpo i segni della sua passione e morte, se no … è un impostore!

Otto giorni dopo, eccolo in casa con gli altri; Gesù viene di nuovo tra loro, a porte chiuse: “Pace a voi!”, saluta e, subito, si rivolge a Tommaso ripetendogli le sue stesse parole, metti qui il tuo dito … guarda … metti la tua mano nel mio fianco. Non ha bisogno di toccare, Tommaso, ma grida: “Mio Signore e mio Dio!”, come uno che finalmente ha capito, ha capito che amare vuol dire lasciarsi ferire e queste ferite sono il segno che siamo viventi, anche se passiamo attraverso la morte; ma chi è senza ferite perché non ha mai amato nessuno … è morto già da questa vita.

Redazione: