“La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana”. Le parole pronunciate ieri da Papa Francesco non sono affatto piaciute al governo turco che ha reagito in maniera seria e contrariata, mettendo addirittura a rischio i rapporti di buona fiducia tra la Turchia e la Santa Sede. Eppure sulla questione armena e sul genocidio sofferto dal suo popolo, non è la prima volta che la Chiesa cattolica si esprime in termini così chiari e inequivocabili. Già nel 2001 Giovanni Paolo II in una nota congiunta con il Catholicos armeno Karekin II – citata ieri da Francesco – usò lo stesso termine: genocidio. “Lo fece però in Armenia – osservaAldo Ferrari, docente di lingua e letteratura armena all’Università Ca’ Foscari di Venezia – e questa dichiarazione non ebbe l’impatto mediatico mondiale che hanno invece ricevuto le parole di Papa Francesco, pronunciate a Roma in una Messa solenne specificamente dedicata al popolo armeno e al centenario del suo genocidio. Non è dunque una parola nuova, ma incontestabilmente fortissima”.
Perché si fa così fatica a usare il termine “genocidio”?
“Il 95% degli storici condivide che l’unica definizione possibile a quello che si è consumato è genocidio. Un intero popolo è stato sterminato e scacciato dal territorio natio”.
Allora dove si pone il problema?
“A differenza della Germania che dopo la guerra e la sua sconfitta, è stata costretta a riconoscere il genocidio degli ebrei, la Turchia non è mai stata posta in questa situazione e ha continuato a negare, dalle origini sino ad oggi, di aver compiuto questo genocidio. La richiesta ora di ammettere la verità, viene rivolta a uno Stato che sta acquisendo un ruolo geopolitico sempre più importante: la Turchia è membro della Nato ed è un Paese islamico moderato e, sebbene qualcuno dubita sulla moderazione dell’Islam turco, non si vuole mettere in difficoltà questo Paese. Se la Turchia ha reagito male alle parole del Papa, questo rappresenta un grosso problema a livello internazionale. Non a caso anche il nostro governo sta tenendo un profilo basso sulla questione”.
Se la questione non è storica, allora è puramente politica?
“Il genocidio c’è stato. Non può essere onestamente negato. Chi lo nega o lo sminuisce, fa un’operazione parallela a quella di taluni storici che appartenendo a discutibili ideologie, negano l’olocausto degli ebrei. È una oscenità punto e basta. Detto questo, il problema politico rimane perché la Turchia è un Paese forte e importante che prosegue la sua politica di negazionismo”.
Quali conseguenze potrebbero esserci se la Turchia ammettesse il genocidio?
“Le conseguenze immediate sarebbero relativamente modeste, perché per le leggi del diritto internazionale, l’Armenia non potrebbe richiedere i territori della Turchia orientale abitati un tempo dagli armeni perché all’epoca non esisteva uno Stato armeno. Ci sarebbero rivendicazioni economiche per la restituzione ai discendenti dei beni confiscati alle persone uccise. Si tratterebbe di un impegno economico consistente ma non credo sia questo il problema principale per una Turchia in impetuoso sviluppo economico. L’elemento principale è di carattere culturale e morale. Riconoscere il genocidio significherebbe riconoscere che buona parte di coloro che sino ad oggi sono stati descritti in Turchia come eroi e fondatori della Patria moderna della Repubblica, sono in realtà assassini e ladri. Inoltre la Turchia dovrebbe ammettere di aver mentito per decenni, in particolare sui manuali scolastici creando una visione falsificata della storia per ciò che riguarda gli armeni e il genocidio. Sarebbe un mea culpa radicale. Un passo difficile e politicamente addirittura impensabile oggi”.
Impensabile ma possibile?
“Sono ottimista perché la Turchia di oggi è irriconoscibile rispetto alla Turchia di 20 anni fa. Sta cambiando tutto e per alcuni aspetti – anche se ci sono ombre – tutto sta migliorando. Ci sono poi intellettuali turchi che tranquillamente parlano di genocidio riconoscendolo senza nessuna difficoltà. Sono storici seri. Ma ci sono anche giornalisti e registi come l’autore del film ‘Padre’ (‘The Cut’) Fatih Akin, che parla del genocidio armeno. Per questi intellettuali progressisti – che sono una minoranza, ma una minoranza colta – la questione armena rimanda soprattutto a un’altra questione seria e vitale per il Paese e, cioè, quella della libertà di coscienza e di espressione. Finché la Turchia non potrà parlare liberamente del suo passato e, in particolare, degli armeni e dei curdi, non potrà essere e considerarsi un Paese realmente democratico e progredito”.