Nella storia degli Stati Uniti la “saga familiare” è una costante e dalla seconda metà del ‘900 non sono mancate le grandi dinastie al potere (potere politico, industriale, editoriale…): basterebbe citare i Kennedy.
Ma nell’autocandidatura di Hillary c’è qualcosa di più. Si profila la reale possibilità di avere una donna presidente, dopo il primo inquilino afroamericano alla Casa Bianca. È un’America che cambia volto? Può darsi. Senza però dimenticare il fatto che le presidenziali Usa sono una corsa solidamente democratica ma pure profondamente segnata dalle lobby (economiche, massmediali, etniche, sociali) che scelgono questo o quel candidato da sostenere in base ai propri interessi. Quella di Hillary, così come quella degli altri aspiranti presidenti, sarà la corsa di affari e di capitali, oltre che di partiti e di programmi politici. Dunque l’enfasi sulla “donna presidente” andrebbe mantenuta facendo salve queste considerazioni.
E poi non si può trascurare che l’opinione pubblica d’oltre Atlantico cerca sempre un nuovo emblema, un modello cui fare riferimento per proseguire la sua marcia. Lo ha ammesso la stessa Clinton nelle scorse ore: “Voglio diventare la prima presidente degli Stati Uniti… Ogni giorno gli americani hanno bisogno di un campione. Io voglio essere quel campione”. Ma ci sono campioni e campioni. Sarà necessario comprendere di quali valori e obiettivi vorrà farsi portatrice Hillary Clinton: il video che lancia la sua candidatura non aiuta molto a far luce.
Dall’Italia e dal resto del mondo è possibile che nei prossimi mesi si farà il tifo per questa donna, moglie, politico, che ha saputo costruirsi un’immagine forte e credibile, prima da “first lady”, poi da donna ferita (per le vicende del marito alla fine del secondo mandato) e risorta a nuova vita, quindi da responsabile della politica estera statunitense a fianco di Obama nel primo quadriennio di presidenza. Così come è facile prevedere che dal “resto del mondo” altri guarderanno con simpatia all’avversario – o avversaria – della Clinton. Il derby elettorale americano è sempre affascinante, specie se si riconosce che dalla direzione che prenderanno gli Usa dipenderà per una certa parte la direzione del mondo. Occhi puntati, dunque, su Washington.