“Il primo genocidio del XX secolo”: ha ripreso le parole della Dichiarazione Comune firmata da Giovanni Paolo II e Karekin II, a Etchmiadzin il 27 settembre 2001, Papa Francesco per ricordare la prima delle “tre grandi tragedie inaudite” che l’umanità ha vissuto nel secolo scorso, quella del popolo armeno, durante la quale “furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo”. Dalla basilica di San Pietro, dove ieri ha celebrato la messa per il centenario del “martirio” (Metz Yeghern) armeno, il ricordo del Papa è andato anche ad “altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia”. Non prima di aver parlato del “grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi -, oppure costretti ad abbandonare la loro terra. Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: ‘A me che importa?’”. Per il Pontefice ricordare genocidi e stermini di massa “è necessario, anzi, doveroso, perché laddove non sussiste la memoria significa che il male tiene ancora aperta la ferita; nascondere o negare il male è come lasciare che una ferita continui a sanguinare senza medicarla!”.
Genocidio armeno (1915-1923). Avviene nel quadro del primo conflitto mondiale (1914-1918) ad opera del governo dei “Giovani Turchi”, al potere nel 1908, che in questo modo intendeva attuare l’eliminazione dell’etnia armena, presente nell’area anatolica fin dal VII secolo a.C. Secondo stime di storici e studiosi furono deportati e massacrati circa 1,5 milioni di persone. Uno sterminio dalle caratteristiche di un genocidio che la Turchia ha sempre negato. Per il Paese della Mezzaluna, le vittime armene di quel periodo sarebbero circa 300mila.
Cambogia (1975-1978). Ex colonia francese, la Cambogia diventa indipendente nel 1953 ad opera del principe Norodom Sihanouk, rovesciato nel 1970 da un colpo di Stato del generale Lol Non, appoggiato dagli Usa. Nel 1975 il potere passa ai Khmer Rossi, gruppo di estrazione leninista popolare soprattutto nelle zone rurali del nord. Il loro leader, Pol Pot, proclama la Repubblica della Kampucea Democratica. Per creare l’uomo nuovo socialista il dittatore fece evacuare tutte le città cambogiane, trasferendo la popolazione in campi di rieducazione. La Cambogia divenne, di fatto, un immenso campo di lavori forzati nel quale persero la vita, secondo varie stime, da un minimo di 800mila a un massimo di 3.300.000 cambogiani. A porre fine alla mattanza furono i vietnamiti nel 1979.
Ruanda (1994). Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Ruanda, Stato dell’Africa centrale, nella regione dei Grandi Laghi, il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati per mano degli estremisti dell’Hutu Power e di quelli della formazione Akazu. A fare esplodere la follia un misterioso incidente aereo a Kigali (capitale ruandese), il 6 aprile del 1994, in cui perirono il presidente del Ruanda Habyarimana e quello del Burundi Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu. Su una popolazione di 7.300.000 persone, di cui l’84% di etnia hutu, il 15% tutsi e l’1% twa, ad essere uccisi a colpi di machete e di bastoni furono 1.174.000 persone in soli 100 giorni (10mila morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto). Tra loro il 20% circa di etnia hutu. I sopravvissuti tutsi al genocidio sono stimati in 300mila.
Bosnia (1990-1999). Si sviluppa nel più ampio contesto della dissoluzione della Jugoslavia federale del presidente Tito (sei repubbliche di Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia) e due regioni autonome unite alla Serbia (Kosovo e Vojvodina). Nel periodo che va dal 1990 al 1999 le parti in guerra utilizzano a più riprese la pulizia etnica per prevalere. Il movente risiede nel nazionalismo esasperato coltivato da tutte le parti in causa. Le cifre dello sterminio sono ancora del tutto da accertare. L’11 luglio di quest’anno la Bosnia ricorda il ventesimo anniversario del massacro di Srebrenica (1995), enclave musulmana nella parte orientale del Paese. Qui circa 8mila bosniaci, uomini e adolescenti, furono uccisi dalle forze serbe di Bosnia.