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di Giovanna Pasqualin Traversa
II test genetico Brca (Breast Cancer Susceptibility), più noto come “il test di Angelina Jolie” da quando l’attrice, dopo averlo eseguito, ha deciso di sottoporsi a interventi chirurgici preventivi al seno e alle ovaie, diventa più rapido. Grazie a un nuovo servizio sviluppato presso l’Uos di Diagnostica molecolare clinica e personalizzata del Policlinico universitario “Agostino Gemelli” di Roma in collaborazione con il Dipartimento per la tutela della salute della donna, supportato dall’azienda biofarmaceutica AstraZeneca, le pazienti italiane affette da neoplasia ovarica di alto grado potranno accedere al test molecolare con un risparmio di tempo di circa 5-8 mesi, e identificare in tempi brevi la presenza di una mutazione nei geni Brca1/2, per poter accedere a una specifica terapia secondo le indicazioni dell’European Medical Agency (Ema).Il carcinoma ovarico è l’ottavo tumore più diffuso fra le donne, con circa 230mila nuove diagnosi ogni anno nel mondo. Nel 2014 in Italia si sono registrati quasi 6mila nuovi casi, circa il 3% del totale dei tumori diagnosticati tra la popolazione femminile, e le stime indicano che nel corso della vita una donna italiana ogni 74 sviluppi un tumore ovarico. Per questo tipo di tumore non esistono attualmente strumenti di prevenzione (come il pap test per il tumore della cervice uterina) o di diagnosi precoce (come la mammografia per il tumore al seno). Di qui l’importanza della piattaforma online presentata al Gemelli, che consentirà agli oncologi italiani che ne fanno richiesta di ottenere l’esito del test molecolare in sole tre settimane, identificando precocemente una possibile mutazione dei geni Brca e “facilitando così – spiega al Sir Ettore Domenico Capoluongo, responsabile del suddetto Uos Diagnostica molecolare – il percorso di terapia personalizzata con i nuovi farmaci target, denominati inibitori di Parp, la cui somministrazione è condizionata al test, secondo le linee di indirizzo dell’Ema. I dati di letteratura indicano che una rapida introduzione di tali farmaci può migliorare significativamente gli esiti clinici delle pazienti”. La mutazione dei geni Brca1/2, che ne compromette la funzione di soppressori tumorali, comporta un aumento del rischio di tumore ovarico fino al 46% ed è presente nel 15-25% delle pazienti.

Il processo si sviluppa in quattro fasi. L’oncologo del centro ospedaliero in rete si collega alla piattaforma online e inserisce i dati della paziente, indicando la data in cui ritirare il campione da analizzare (massimo 72 ore dall’invio della richiesta). Viene quindi effettuato il prelievo di sangue; il corriere espresso riceve una comunicazione automatica della richiesta: ritira i campioni da analizzare dal Centro oncologico e li consegna al laboratorio di Uos Diagnostica molecolare del Gemelli che esegue il test. Dalla stessa piattaforma online l’oncologo può visionare e scaricare i risultati. In presenza di una mutazione, l’oncologo potrà somministrare la terapia prevista e riferirà alla paziente la necessità e indirizzarsi a un opportuno counselling oncogenetico per la gestione anche del rischio familiare. La piattaforma è già attiva e offre l’opportunità a tutti i Centri oncologici nazionali che non dovessero disporre di laboratori in grado di effettuare il test in tempi brevi, di richiedere il test. “Abbiamo già diversi centri nazionali che hanno iniziato l’invio dei campioni”, afferma Capoluongo.

Come personalizzare la valutazione del rischio associato ad ogni specifica mutazione? “Al momento – risponde il professore – l’unica certezza che abbiamo è che la presenza di mutazioni nei geni Brca sia a livello germline (costitutive), sia a livello del tumore, migliora gli esiti clinici delle pazienti trattate con i farmaci inibitori di Parp-1, e che il beneficio si riscontra in termini di sopravvivenza complessiva”. Contrariamente a quanto si riteneva fino a qualche tempo fa, precisa, “non è poi così vero che tutte le mutazioni di Brca 1 o 2 espongono allo stesso rischio di neoplasia, ovarica o mammaria”. Inoltre, “uno studio appena pubblicato sul Journal of the American Medical Association su una grandissima coorte di pazienti mutate per Brca 1 o 2 (circa 30mila soggetti in 33 Paesi del mondo) ha mostrato che in circa il 40% non è stato diagnosticato alcun tumore”. Per Capoluongo, “la gestione del risultato del test va ricondotta in ogni caso a una équipe di persone esperte nella gestione della paziente con tumore ovarico Brca-mutato e dei familiari potenzialmente a maggior rischio”. La decisione su cosa fare, ivi compresa la chirurgia preventiva, “va condivisa e non si può immaginare di ragionare solo in termini di meri calcoli probabilistici”. Attenzione, avverte infine, ai test offerti da alcune aziende sul mercato, “la cui validazione oggettiva non è documentata in maniera efficace”. Occorre “muoversi sempre in linea con le evidenze scientifiche”.

 

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