Un corteo di 229 ragazze con un nastro adesivo rosso sulla bocca e abiti rossi, per denunciare un anno di silenzio sulla sorte delle liceali di Chibok sequestrate da Boko Haram la notte tra il 14 e il 15 aprile 2014. Stanno rimbalzando in tutto il mondo le immagini della marcia di protesta che si è svolta il 14 aprile ad Abuja, in Nigeria, e i social media ne parlano di nuovo al grido virtuale di #BringBackOurGirls.
Quella tragica notte furono rapite 276 studentesse: alcune sono poi riuscite a fuggire, la maggior parte sono state costrette a sposare i miliziani di Boko Haram, indottrinate all’islam e addestrate all’uso di armi per il combattimento.
La vicenda delle liceali di Chibok rappresenta, purtroppo, solo una piccola parte dei rapimenti del gruppo terrorista: dal 2004 ha ridotto in schiavitù sessuale e addestrato a combattere almeno 2mila donne e bambine. Lo denuncia un rapporto pubblicato ieri (14 aprile) da Amnesty international, che descrive nei particolari il “regno del terrore” istituito da Boko Haram nel nord est della Nigeria: 300 raid e attacchi incendiari a villaggi e almeno 5.500 civili uccisi con metodi brutali dall’inizio del 2014 ad oggi, mentre la vita di tutti i giorni diventa atroce anche per tutti. Appena conquistato un centro, il gruppo armato raduna la popolazione e annuncia nuove regole e proibizioni. Chi non le rispetta viene ferocemente punito, con frustrate o lapidazioni in pubblico. Le donne e le bambine rapite vengono spostate in campi collocati in zone remote, poi in altre città e villaggi, costrette a convertirsi all’islam in vista del matrimonio.
Le testimonianze delle poche riuscite a fuggire – raccolte da Amnesty – sono drammatiche ed eloquenti: Aisha, 19 anni, è stata rapita durante una festa di matrimonio insieme alla sorella, alla sposa e alla sorella della sposa. Le quattro ragazze sono state portate in un campo a Gullak, dove erano già un altro centinaio di donne rapite. Una settimana dopo sono state costrette a sposare due combattenti e addestrate a combattere, ad usare armi e bombe. È stata obbligata a prendere parte a un attacco contro il suo stesso villaggio. Durante i tre mesi di prigionia è stata stuprata ripetutamente, a volte da gruppi di sei combattenti. Ha visto uccidere la sorella, insieme ad altre 50 persone, perché rifiutavano di convertirsi. Aisha è sopravvissuta al terrore ma le ferite nell’anima rimarranno per sempre.
Il nuovo presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha ammesso di non sapere dove si trovano le ragazze e di non poter promettere che saranno salvate.
Dove non arrivano gli uomini può arrivare la preghiera, unendoci alla mobilitazione internazionale: #BringBackOurGirls.
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