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La Civiltà Cattolica: I jihadisti e le immagini

I jihadisti nelle loro azioni terroristiche non hanno risparmiato opere d’arte e tutto ciò che gravita attorno al mondo delle immagini. Basta pensare che nel 2001 i talebani fecero saltare in aria con la dinamite i giganteschi buddha di Bamiyan, in Afghanistan. Nel 2004 uccisero il regista olandese Theo Van Gogh. Infine, quest’anno si sono accaniti a Parigi contro i vignettisti di Charlie Hebdo e contro inermi turisti che stavano visitando il Museo del Bardo di Tunisi.

Questa serie di circostanze ha portato padre Giovanni Sale a riflettere sul tema dell’aniconismo nell’islam e su quello dell’iconoclastia nel contesto terroristico. Il saggio è apparso sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica che esce proprio oggi.

Per padre Sale, “l’iconoclastia praticata dai militanti dell’Isis, e negli anni passati dai talebani afghani, non ha il suo fondamento dottrinale nell’aniconismo praticato dall’islam tradizionale sia sunnita sia sciita, ma trova la sua origine in alcune correnti dell’islamismo salafita o radicale, come ad esempio quello di matrice wahhabita”.

Infatti, solo un versetto del Corano tratta in modo molto sbrigativo del tema delle immagini: “O voi che credete, in verità il vino, il maysir, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono sozzure, opere di Satana; evitatele” (Corano V, 90). Pertanto “secondo gli studiosi della materia, non esiste nel Corano un preciso divieto circa le raffigurazioni, anche se viene esplicitamente condannata l’adorazione degli idoli, come già in precedenza era avvenuto nella Bibbia”.

Un divieto più esplicito, afferma ancora padre Sale, appare per la prima volta in alcuni hadith, i detti attribuiti al profeta Maometto e ai suoi seguaci”, nei quali le immagini vengono proibite. Esse infatti “sono illecite e proibite perché contaminano la sacralità dello spazio rituale della preghiera e perché attraverso la loro creazione si ha la pretesa di emulare un atto che appartiene soltanto a Dio, cioè quello di creare esseri viventi”.

È invece con l’affermarsi del whhabismo che l’aniconismo assume le forme della violenta iconoclastia. Questo movimento, ricorda il gesuita, “si sviluppò nella penisola arabica nel secolo XVIII ad opera di un predicatore carismatico, ibn Abd al-Wahhab (1703-92), che si rifaceva alle dottrine religiose insegnate da uno studioso medievale, Ahmad ibn Taymiya (morto nel 1328).

Tali insegnamenti, argomenta ancora padre Sale, “sostanzialmente professano «la scienza dell’unicità di Dio», intesa in modo radicale. Tutto ciò che distoglie il fedele da questa verità, come ad esempio il culto degli angeli, degli spiriti o la visita alle tombe dei giusti (compresa quella del Profeta) o di particolari moschee, è considerato idolatria”.

Il redattore de La Civiltà Cattolica conclude dicendo che “Alla luce di quanto detto, appare chiaro come le recenti devastazioni e distruzioni di monumenti antichi, nonché l’uccisione di turisti stranieri che visitano luoghi di cultura da parte dei militanti dell’Isis, non vadano lette in riferimento alla tradizione aniconica islamica, comune anche all’ebraismo, e neppure alla sua storia, spesso ispirata alla tolleranza e alla «protezione» dei membri della religione del libro, quanto all’adozione di princìpi rigoristi tratti dalla dottrina wahhabita, interpretata acriticamente e fuori dal controllo di istituzioni religiose consolidate e legittime”.

Nicola Rosetti: