Di Floriana Palestini e Simone Incicco

FORCE – In occasione del 110ecimo anniversario della morte della Beata M. Assunta Pallotta e per l’anno della vita consacrata indetto da Papa Francesco si è tenuta nella Parrocchia San Paolo Apostolo in Force la processione e la S. Messa presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani.
Partendo dalla Chiesa dove si è ricordato il battesimo della Beata Assunta Pallotta si è giunti in processione nella Chiesa di San Paolo Apostolo dove è stata celebrata la Santa Messa.
Al termine della celebrazione abbiamo intervistato Suor Cristina Di Paolo della congregazione delle suore “Missionarie della Fanciullezza” fondate a Pesaro il 4 ottobre 1951 da Madre Flora Pallotta, originaria di Force.

Suor Cristina di quale paese è originaria? Ci parla un po’ della sua famiglia?
Sono originaria del Molise, precisamente del comune di Pietrabbondante, provincia di Isernia. Eravamo 13 fratelli. Mio papà si chiamava Amedeo; mia mamma Cleonice.

Cosa pensava di fare da piccola?
Da piccola sognavo sempre di fare la suora e ogni tanto mi vestivo da suora. Frequentavo le suore del paese: ho fatto l’asilo, le elementari e la colonia con loro. Un bel giorno ho incontrato la fondatrice dell’ordine, perché c’erano altre mie amiche che erano già entrate in collegio; mi piaceva molto il loro vestito. In realtà nella mia mente sapevo già quale vestito scegliere, perché mi piaceva la vita religiosa.

La mamma e il papà ci hanno abituati al sacrificio, mia mamma faceva cucinare me all’età 7 anni. La nostra vita era “normale”, i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare nulla. Mia mamma frequentava la chiesa e i miei fratelli facevano i chierichetti: è stata mia madre ad insegnarmi la generosità, il sacrificio e il concetto di “dare sempre”.

Un giorno è capitata nel mio paese Madre Suora Pallotta, la fondatrice del mio futuro ordine con due suore e venne a casa nostra. Era il 1956. La Madre, che aveva proprio uno sguardo che ti penetrava nell’anima e nel cuore, mi disse: “Tu ti fai suora?”. Io le risposi: “ Sì, Madre” (avevo 13 anni). Allora mi rispose: “Pensaci bene stanotte, poi domani mi dai la risposta”. Io non ci pensai per niente, perché il mio desiderio era veramente quello. Il giorno dopo mi incontra e dice: “Allora ci hai pensato?”; io le rispondo: “Sì, Madre” e lei: “Guarda che la vita religiosa è molto dura, poi il nostro carisma è quello dei bambini: bisogna lavarli, cambiargli il pannolino…”, insomma me l’aveva messa un po’ in grande. Io le dissi: “ Madre, quello che c’è da fare io indegnamente lo faccio” e lei: “Allora preparati perché vieni via con me”. Due giorni dopo sono partita e non mi sono mai pentita e ho avuto diverse prove nella vita: non mi è andato sempre tutto liscio, perché in convento c’è sempre chi ha il carattere un pochino diverso dal tuo, ma questo mi ha aiutata a crescere e a formarmi. Sono stata sempre vicino a lei, alla fondatrice. La Madre però mi voleva far studiare per dare qualcosa in più ai bambini, ma mi sembrava una perdita di tempo star fuori di casa e non lavorare; guardavo più al lavoro che allo studio. In seguito sono stata 13 anni con il vescovo Borromeo di Pesaro e poi sono tornata a stare vicino alla fondatrice. Sono stata sempre vicina a lei: l’ho accompagnata 13 volte in missione e oggi sono qua.

Quindi possiamo dire che è stata una vocazione graduale, maturata grazie al contatto con la fondatrice?
Sì, ma anche grazie ai miei genitori e all’educazione che essi mi hanno dato. Non ho trovato tanto dislivello tra gli insegnamenti dei miei genitori e quelli della nostra fondatrice, anche perché la Madre non ci ha fatto sentire la mancanza dei nostri genitori: lei aveva un carattere molto forte, ma era molto materna.

Il carisma che portava avanti la Madre era verso i fanciulli. Com’è cambiato negli anni? È rimasto sempre lo stesso o si è adattato ai tempi, visto che, comunque, le esigenze sono cambiate?
Sì, verso i bambini più deboli e abbandonati. Logicamente ci siamo dovuti adattare ai tempi che corrono, ma sempre in meglio, mai in peggio. Abbiamo cercato sempre di dare il meglio di noi stesse. Il carisma, comunque, è rimasto quello verso i bambini. Adesso, per esempio, faccio la catechesi a tre classi: prima, seconda e terza e li porto tutti fino alla cresima. Coi bambini bisogna avere amore e timore.

Come sono cambiati negli anni i bambini?
Coi bambini bisogna avere amore e timore. Loro devono capire quello che devono fare e bisogna saperglielo dire. Io mi sono trovata sempre bene con loro e loro si trovano bene con me.

E il rapporto con Force?
Bisogna sorridere con tutti e avere una certa diplomazia, come in tutti i paesi. Force è un paese che ha dato tante vocazioni alla chiesa: io anche per questo lo rispetto.

È il paese dove è nata la Madre: prima si trovava presso le Piccole Ancelle del Sacro Cuore, poi dopo la Guerra faceva la caposala in una clinica a Pesaro e c’erano tanti ragazzi e bambini che andavano a curarsi e lei ha avuto questa vocazione di fondare un ordine per i bambini. Ella stessa ha iniziato una missione in Ecuador con un vescovo della zona di Pesaro e lì abbiamo 5 centri, ma alla Madre non bastavano. Lei diceva: “No figlie, bisogna aprire un’altra missione.

Noi siamo una goccia, ma se si può dare qualcosa in più…”. Mentre lei si è ammalata per 6 mesi ha mandato le suore in Messico.

La zona che ci avevano indicato era molto ricca. Avevamo incontrato un sacerdote poco sincero, perché la Madre ti guardava negli occhi e capiva. Il sacerdote le disse: “Madre, ma lei quanti soldi ha?” lei gli rispose: “Ma tu vuoi l’opera o vuoi i soldi?”. Insomma, gliel’ha detto un po’ a “brutto muso”, ma ha visto che non era sincero ed è voluta andare da un’altra parte. Dopo lei si è ammalata nel ritorno, però ha portato Gesù in Perù. E lì ci sono tre centri guidati da un sacerdote di Bologna, dove abbiamo le case. Un po’ con le offerte ha fatto una bellissima opera e lì lo stesso abbiamo bambini poveri e abbandonati, proprio nella parte più povera del Perù.

 

Com’è il rapporto con la parrocchia?
Con la parrocchia c’è un bel rapporto. Il parroco è giovane e bravo, si collabora bene con lui.

Come si comporta con i bambini svogliati? Che magari sono un po’ tristi, non è sempre facile rapportarsi con loro.
Quando vedo un bambino triste, sono convinta che c’è sempre qualcosa in famiglia e questo mi fa capire che devo prendere il bambino in un’altra maniera, perché c’è sempre mancanza di qualche cosa. Quindi questo rapporto con il bambino triste, c’è sempre da approfondirlo, perché mi fa capire come devo agire nei suoi riguardi. Poi ci sono tante cose: c’è stata anche qui nel paese la morte di un bambino, che mi ha segnato molto, poiché lo abbiamo conosciuto da piccolissimo e a 9 anni Gesù se lo è portato con se.

Progetti in cantiere o futuri?
Non lo so. Io prego soltanto di avere tanta salute, per lavorare un pochino di più. Inizio ad avere qualche piccolo problema, ma non mi scoraggio. Chiedo solo alla Madre: “Madre, se tu vuoi, aiutami a guarire per dare sempre di più”. La mia vocazione è quella di dare a tutti: preparo anche i pacchi per le famiglie povere e spesso mi tolgo qualcosa per darla a loro, per accontentarli e farli uscire con il sorriso e non con il broncio perché hanno ricevuto poco.

Quindi i servizi che fate alla comunità di Force sono la formazione dei bambini (catechesi) e l’aiuto ai poveri?
Sì, poi accogliamo anche le persone che vogliono ritirarsi per periodi di riflessione. Nel mio piccolo accolgo tutti e, nella mia semplicità e ignoranza, cerco sempre di dare il meglio di me stessa. Sono una misera creatura, ma l’esperienza che ho fatto vicino alla Madre mi ha dato moltissima forza.

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