Aveva gli occhi vispi di chi ne ha viste tante di cose nel mondo e la parola simpatica di chi non ha mai perso le radici livornesi. Il suo nome e la sua persona evocavano sempre un generale moto di profondo rispetto. Ha vissuto tutti i dolori, le persecuzioni, gli esili e le ingiustizie vissute dal suo popolo negli anni bui dell’Olocausto. Ma il male in lui non ha preso il sopravvento, testimoniando che dal tunnel dell’odio e della violenza si può uscire e che il bene – anche laddove tutto sembra perso – può sempre risorgere. È questa umanità forgiata nel dolore e nella resistenza ad aver ispirato un rapporto destinato a segnare il tempo. Quello con Giovanni Paolo II, il Papa Santo che entrò per primo nella Sinagoga di Roma e chiamò gli amici ebrei “fratelli maggiori”. All’improvviso muri alti due millenni di diffidenza e pregiudizio si sono sbriciolati al calore di un abbraccio.
Sono tempi difficili. Nuovi odi e nuove guerre stanno risorgendo. La sua persona è oggi un patrimonio inestimabile a cui attingere. Grazie Rav per quello che è stato, per la profondità della sua fede, per la grandezza della sua umanità, per il coraggio a tracciare sentieri nuovi.