Solo pochi giorni fa ci siamo esaltati per i successi europei delle squadre italiane (Juventus, Fiorentina e Napoli). Al punto che abbiamo letto e sentito una frase colma d’entusiasmo: “Il calcio italiano è tornato”. Certo che è tornato, ma il sentimento positivo è durato solo pochi giorni.
Alla prima domenica utile, ecco riaffiorare i mali più profondi del calcio italiano: tifosi violenti all’opera a Torino dove hanno macchiato indelebilmente un derby a suo modo storico, per la vittoria del Toro dopo ben venti anni. E che dire dell’aggressione, negli spogliatoi, di un giocatore atalantino (Denis) ai danni di un collega dell’Empoli (Tonelli)?
Si dirà che questo non è sport, ma solo teppismo. Giusto, ma se è così, perché non riusciamo ad estirparlo dalle nostre domeniche calcistiche? La domanda, purtroppo, è vecchia ormai di almeno trent’anni. Anni e campionati buttati via fra polemiche, false indignazioni, incertezze legislative, connivenze pericolose con le frange violente delle tifoserie, ammiccamenti e concessioni indicibili. Dinanzi a tutto questo, come dovrebbe accadere in ogni realtà sociale degna di questo nome, non ci sono pannicelli caldi. C’è solo la via della repressione e della prevenzione. Mettendo in campo anche l’intelligence per stanare le sacche ombrose del tifo violento.
C’è poi il tema della gestione della piazza sportiva. Non basta indignarsi vedendo genitori con bimbi al seguito che diventano protagonisti di una domenica bestiale. Forse a quei papà, non suoni scandaloso, va sottratta la patria potestà. Troppo severi? Vi porgiamo una domanda: gli affidereste vostro figlio anche solo per qualche ora? Noi, no.