I due “giganti” asiatici, Cina e India, contengono a Nord e a Sud quel lembo di terra popolato da poco più di 27 milioni di persone che si chiama Nepal. Una delle regioni più corrotte – si stima che le entrate provenienti da corruzione e lavoro nero, coprano più del 50% del Prodotto interno lordo – e povere del mondo, con un tasso di alfabetizzazione del 60,3%, una scolarizzazione primaria del 71,1%, una malnutrizione infantile che tocca il 29,1% dei bambini sotto i cinque anni. L’80% dei più poveri del Paese è di origine Dalit – i “portatori d’impurità” – che vivono una gravissima discriminazione. I bambini, che rappresentano il 40% della popolazione, soffrono povertà e malattie e molti di loro sono esposti a violenze e abusi all’interno delle famiglie. Sono costretti a lavorare – il 34% di coloro che hanno tra i 5 e i 14 anni – perfino in cave di pietra o vengono sfruttati sessualmente. In alcuni distretti del Paese, si può dare in dote una bicicletta e 7mila rupie alla propria bambina di 6 anni per farla sposare con un suo coetaneo. Il fenomeno delle spose bambine è favorito dal sistema di schiavitù che colpisce le ragazze povere e dalla tradizione culturale e religiosa induista. Il risultato è che più della metà di tutti i bambini e giovani di età inferiore ai 18 anni sono sposati.
È questo uno degli esempi più significativi dell’influenza esercitata dall’induismo, al quale aderisce più dell’80% della popolazione. La parte restante è di fede buddista (10,3%) e musulmana (4,6), con una piccola presenza cristiana (0,5%). In base alla Costituzione, promulgata nel 2007, la libertà religiosa è limitata ed è fatto divieto di convertire una persona da una religione all’altra.
Alcuni affermano che i nazionalisti siano attivi in Nepal “per procura”, tanto è evidente e stretto il rapporto con l’India, sancito nel 1950 con un Trattato di pace e di amicizia, dopo l’invasione cinese del vicino Tibet. Gli accordi, rinnovati nel 2001, hanno garantito la difesa e la sicurezza del Paese e hanno anche sancito la sua dipendenza economica dallo Stato indiano: il Nepal intrattiene con l’India i 2/3 dei propri contatti commerciali esteri, le sue poche infrastrutture sono state realizzate grazie agli investimenti indiani e persino la sua moneta è legata alla rupia indiana. L’azione dell’India fu determinante nel 2006 nel sancire l’accordo di pace tra il Governo nepalese e i maoisti, impegnati in un’insurrezione durata dieci anni, durante la quale furono assassinate circa 13mila persone. Nel 2008, il partito maoista ha preso il potere e dopo 240 di monarchia è stata proclamata la Repubblica. L’attuale Governo indiano sembra intenzionato a rafforzare quest’assetto di potere, nonostante si sia pronunciato, negli anni passati – insieme a Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina – a favore del regime monarchico costituzionale, più vicino ai sentimenti e alle tradizioni del popolo nepalese.
Negli ultimi anni, è emerso in maniera prepotente l’interesse della Cina, per la posizione strategica del Nepal sia nei confronti del Tibet, sia rispetto alla frontiera che la divide dall’India e che è oggetto di contestazione. Il grande Paese asiatico considera il territorio nepalese la nuova “Via della seta economica” verso le regioni dell’Eurasia, per trasportare via terra i propri beni, dietro pagamento del transito. Il progetto, che è stato presentato dai cinesi all’inizio di quest’anno, insieme al potenziamento delle linee ferroviarie di collegamento, mirava ad avviare un accordo anche con l’India, come aveva dichiarato il ministro cinese degli Esteri Wang Yi. Con l’evento terremoto, entrambi i Paesi si trovano di fronte ad una scelta: abbandonare il Nepal al proprio destino – come sostanzialmente avvenuto negli ultimi decenni – o cogliere proprio quest’occasione per “tendergli una mano”.