“La conferenza intitolata ai santi Cirillo e Metodio è internazionale perché comprende quattro Stati: Serbia, Montenegro, Macedonia e Kossovo. Siamo nove vescovi di diverse nazionalità e riti (due membri di rito orientale): due ungheresi, due albanesi, due croati, uno sloveno, un macedone e un ucraino. Devo dire però che in questo gruppo variopinto c’è una grande stima, comunichiamo in croato (durante il comunismo tutti abbiamo fatto gli studi a Zagabria) e ci capiamo abbastanza bene. I problemi sorgono quando vogliamo realizzare un’iniziativa comune. I cattolici in questi quattro Paesi nati dopo la scissione della Jugoslavia rappresentano diverse culture e lingue, tradizioni, anche le legislazioni nazionali cambiano e in questo senso un problema presente in uno Stato, nell’altro non c’è. Intanto noi vescovi continuiamo a riunirci due volte l’anno e cerchiamo di fare del nostro meglio. Poi ognuno agisce nella sua diocesi secondo le proprie specificità”.
Qualche anno fa è nata la proposta di dividere la conferenza internazionale in conferenze nazionali…
“Alcuni dei vescovi hanno questo desiderio, altri invece pensano in modo diverso. In realtà non possiamo fare molto insieme per le diversità menzionate prima e per questo alcuni componenti pensano che sia necessaria una riforma della conferenza; altri invece sono soddisfatti dallo stato attuale. Guardando le cose, per la Serbia sarebbe facile formare una conferenza nazionale perché lì ci sono cinque vescovi. Qui, in Montenegro, siamo invece due vescovi e si porrebbe la questione di come fare una conferenza con solo due persone! Invece il vescovo di Macedonia e quello del Kossovo rimarrebbero soli. Ne abbiamo scritto alla Santa Sede e abbiamo parlato anche con i nostri superiori della Segreteria dello Stato. Siamo in attesa di una loro risposta sulla questione”.
Lei è anche arcivescovo di Bar in Montenegro. Qual è la realtà cattolica nel suo Paese?
“I cattolici del Montenegro sono divisi in due diocesi: l’arcidiocesi di Bar (Antivari) che copre l’80% del territorio del Paese, inclusa la capitale Podgorica, e la diocesi di Cattaro, sulla costa settentrionale fino al confine con la Croazia. A Bar il 90% dei fedeli è di origine albanese mentre a Cattaro sono discendenti di croati. In totale il numero dei cattolici è circa 40mila persone, ossia il 4,5% su una popolazione di 620mila abitanti, di cui il 70% ortodossi e il 15% musulmani. I cattolici erano di più un tempo, ma dopo la seconda guerra mondiale molti sono emigrati in America o in altri Paesi d’Europa per motivi politici ma anche economici”.
Come sono i rapporti con le autorità civili e con la Chiesa ortodossa?
“Abbiamo buoni rapporti con il governo e con i leader delle varie comunità religiose: musulmani e ortodossi. La Chiesa ortodossa in Montenegro però è divisa in due, quella aderente alla diocesi di Montenegro e del litorale, appartenente alla Chiesa ortodossa serba e la Chiesa ortodossa di Montenegro indipendente nata negli anni Novanta dopo essersi staccata dal Patriarcato di Belgrado. Le relazioni tra i due metropoliti delle rispettive chiese non sono ottime e a causa di questo anche i nostri rapporti con gli ortodossi non sono così buoni come vorremmo”.
Come si vive in Montenegro oggi?
“Fortunatamente noi non abbiamo vissuto le guerre dopo la scissione della Jugoslavia. Ma siccome la risorsa principale del Montenegro è il turismo, a causa dei conflitti le persone non venivano più e la gente si è abbastanza impoverita. Pian piano la situazione ora sta migliorando. Abbiamo speranza anche per il fatto di aver iniziato il cammino di adesione all’Unione europea”.
Tra un mese, a giugno, a Sarajevo arriverà Papa Francesco. Con quale spirito aspettate questa visita?
“Siamo molto contenti, anche se lo saremmo di più se il Santo Padre potesse venire in Montenegro. Questo desiderio l’abbiamo espresso molte volte e il governo è pronto ad invitare il Papa, ma rimane il problema del consenso da parte della Chiesa ortodossa. Comunque noi conserviamo questa speranza”.
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