«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore». L’immagine della vite, con la quale si apre il Vangelo di oggi (Gv 15,1-8), è estremamente familiare ai figli di Israele, perché nella tradizione profetica la “vigna” rappresentava il popolo eletto, che il Signore aveva tratto fuori dall’Egitto e piantato in una terra fertile e alla quale aveva dedicato tutte le sue cure; ma questo popolo/vite non aveva corrisposto all’amore del suo Dio (il mio diletto, dice Isaia 5,1) producendo buoni frutti, ma anzi, ribellandosi al Signore, si era inselvatichita diventando, come dice Ezechiele 15,1ss., legna da bruciare in una sola fiammata.
La parabola dei vignaioli omicidi, (Mt 21,33ss.), ricapitola e riassume questa immagine: il padrone della vigna è Dio, i servi sono i profeti, gli operai sono i capi infedeli del popolo, la vigna è Israele e il figlio del padrone è Gesù, che verrà ucciso dagli operai “fuori della vigna”. Ma come riuscirà il Signore a salvare la sua vigna e a farla fruttificare? Ed ecco la novità annunciata da Giovanni: Gesù stesso si fa vite e noi siamo suoi tralci, innestati in Lui che è la nuova, l’unica vera vite. , non siamo noi la vite buona o cattiva, giovane e rigogliosa o invecchiata e sterile, perché Dio, nel Figlio, si è assunto anche la “parte” della vite, che vive ed è feconda in eterno essendo “una” col Padre.
Noi siamo i tralci di questa Vite e, come tali, siamo un tutt’uno con la vite, ma la nostra vita e la nostra fecondità non sono “nostre”, sono della vite e dipendono dal nostro rimanere nella vite per portare molto frutto. Rimane in Dio e Dio in lui, dice la II^ lettura, chi osserva i suoi comandamenti, cioè il precetto dell’amore, e nutrito dello stesso amore, come la linfa della vite nutre il tralcio, cresce e si espande fino a produrre il frutto che «allieta il cuore dell’uomo»(Sal 104,15).
Rimanere in Gesù significa rimanere nella sua parola, diventare sua carne, avere il suo pensiero, i suoi sentimenti, respirare del suo Spirito ed, allora, chiedete quello che volete e vi sarà fatto, perché anche la nostra volontà sarà in sintonia con il “ben-volere” di Dio. Ciò avverrà dopo che il Padre ci avrà potati e mondati, due operazioni tutt’altro che indolore, ma il tralcio che volesse sottrarsi a questi tagli salutari finirebbe per diventare selvatico, brutto e sterile, buono solo per il fuoco.
E’ questo il cammino del discepolo che, come ascolteremo nella prima lettura, predicando con coraggio nel nome di Gesù, va incontro al rifiuto e all’incomprensione e al rischio di perdere la vita perché possa prodursi il frutto: «La Chiesa era dunque in pace … si consolidava e camminava nel timore del Signore».