Non è il momento delle analisi sociologiche. Prendiamo atto del fatto che nel ventre dell’Europa c’è un cuore nero di odio che non perde occasione, con tecniche raffinate di guerriglia e di mimetizzazione, per portare lo scompiglio e la violenza fra la gente comune.
Non finiremo mai di chiederci, però, come sia possibile per mille violenti infiltrarsi in una manifestazione e poi riuscire a dileguarsi senza il complice sostegno e silenzio di quello che solo apparentemente è un popolo antagonista non violento. Non abbiamo sentito le scuse degli organizzatori della manifestazione di protesta, né una presa di distanza. Piuttosto, abbiamo ascoltato arroganti parole di adesione, soddisfazione e complicità. È quella che gli esperti chiamano la “zona grigia”. Possiamo permetterci di sottovalutarla?
A quel qualcuno che ha chiesto alle autorità civili l’autorizzazione a manifestare, non andrebbe chiesto conto di quanto è accaduto? Oggi si discute di chi pagherà i danni a quanti sono stati colpiti e danneggiati. Un’idea ce l’avremmo. La legge non lo prevede, ma come accade negli stadi di calcio che vengono chiusi, almeno dovrebbe essere interdetta la piazza ai violenti. A tempo determinato? Fate voi.
Nel frattempo l’Europa intera, attraverso le sue polizie e le sue intelligence deve costruire un’anagrafe del nuovo terrorismo interno. Questo anarchismo intermittente – non facciamoci illusioni – può divenire il terreno di coltura di un nuovo terrorismo. Meglio correre subito ai ripari.