Francesca Marina è nata sul pavimento dell’hangar della nave Bettica, tra teloni di plastica e cartoni, una bacinella della lavanderia ripiena d’acqua per lavarla. Il reparto maternità è stato improvvisato in mezzo a oltre 600 profughi provati dalla traversata su un gommone, appena salvati dalla Marina Militare nel Canale di Sicilia. I pannolini: cotone idrofilo avvolto nella garza. La culla: una scatola di biscotti. La coperta: lenzuola usa e getta. La mamma, una nigeriana che aveva attraversato deserti e mari per sfuggire a chissà quali tragedie, l’ha partorita in stato di incoscienza, in preda a crisi epilettiche. Non aveva nulla con sé, nemmeno uno zainetto. Solo il pancione, gli abiti lisi, e un biglietto zuppo di acqua di mare con tre numeri di telefono e la scritta: “God is my way”, Dio è la mia forza, la mia guida e la mia direzione. “Da quel biglietto abbiamo capito che probabilmente è cristiana. Dopo una lunga discussione abbiamo deciso di chiamare la neonata Francesca Marina: sul nome del Papa si sono trovati tutti d’accordo”. A parlare dalla nave Bettica è proprio chi l’ha fatta nascere, Giusy, l’ostetrica di Torino volontaria della Fondazione Francesca Rava (www.nph-italia.org), che da ottobre 2013 invia volontari – medici, infermieri, ostetriche specializzati in area urgenza e materno infantile – sulle navi militari per aiutare nei soccorsi dei naufraghi nel Mediterraneo. Da allora oltre 60 volontari – a turni di circa due settimane, prendendosi ferie dal lavoro – hanno contribuito al soccorso di 60mila migranti, tra i quali 500 donne in avanzato stato di gravidanza e moltissimi bambini. Giusy preferisce non dire il cognome per discrezione, ma è ancora fortemente emozionata nel descrivere quello che è capitato la notte tra il 3 e il 4 maggio.
Allattata con una siringa di acqua e zucchero. “Non potevamo attaccarla al seno della mamma perché abbiamo dovuto darle dei farmaci che sarebbero passati nel latte – racconta Giusy dalla nave, attraccata ora al porto di Salerno per l’ispezione sanitaria di routine -. Ma non avevamo un biberon, né latte per neonati. Abbiamo usato una soluzione fisiologica di acqua e zucchero ed è stata allattata attraverso una siringa. Noi esseri umani ci commuoviamo quando vediamo degli animali nel gesto dell’allattamento: riuscite a capire cosa vuol dire vedere una bambina allattata con una siringa di acqua e zucchero?” La storia della giovane madre non si sa. È probabile che sia stata violentata durante il lungo viaggio dalla Nigeria alle coste africane, o forse chissà. Negli ultimi tempi sulle “carrette del mare” sono sempre di più le donne, spesso adolescenti costrette a rischiare la morte in mare pur di fuggire a chissà quale situazione disperata. “Come si fa a preoccuparsi dell’invasione dei profughi, degli immigrati che ci tolgono il lavoro – aggiunge d’impeto -, senza capire che dietro ci sono storie drammatiche che non immaginiamo neanche? Non riusciamo ad immaginare come sarebbe se dovessimo partire noi, in quelle condizioni, senza niente?”
Nata nella “terra promessa”. Con l’aiuto di cinque persone dell’equipaggio e di Giovanna, una giovane infermiera che ha sostenuto dolcemente la mamma durante tutto il parto, invitandola a spingere, sussurrandole dolci parole che non poteva sentire né comprendere, Francesca Marina è venuta al mondo appena un’ora dopo il salvataggio. Come se avesse aspettato il momento giusto, troppo stretta com’era il quel disumano gommone dov’erano stipati in 92, senza poter muovere nemmeno un piede. “È come se la mamma e la bimba si fossero aiutate a vicenda – dice Giusy -. La mamma voleva far nascere la bambina nella ‘terra promessa’, in un contesto protetto. E la bimba ha deciso di nascere sulla nave”. È stata “una prima volta” sulla nave sia per l’ostetrica volontaria, sia per i militari e il personale della Bettica, che ha fatto il tifo per Francesca Marina. Non c’è n’è uno che non abbia la sua foto sullo screen saver del telefonino. “La chiamavano ‘La nostra bambina’”. Hanno perfino appeso sulla nave un fiocco rosa. E sulle stesse lenzuola di carta che hanno avvolto i primi respiri della neonata hanno scritto: “Abbiamo anche Francesca Marina”. Ora madre e figlia sono all’ospedale di Modica, dove stanno ricevendo le giuste cure. “Mi auguro che abbia la vita felice che la mamma ha sognato per lei – auspica l’ostetrica torinese, madre di due ragazzi di 16 e 20 anni -. E che non vengano lasciate sole”.
“Principessa del mare”. Indaffarata com’era, Giusy non sapeva che più o meno nelle stesse ore, in una importante isola al di là di un altro mare europeo, e in condizioni completamente opposte, era nata la Royal baby 2, Charlotte Elizabeth Diana. “Sicuramente la Royal baby sarà principessa per una vita, con tutto quello che ciò comporta – osserva -. Francesca Marina, anche se non aveva nulla, è stata per noi la Principessa del Mare”.
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