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Bilancio 2015, nuovi sacerdoti gli Stati Uniti possono sorridere

Di Damiano Beltrami

Saranno 595 i nuovi sacerdoti ordinati negli Stati Uniti nel 2015, oltre cento in più dello scorso anno. “I nuovi numeri sono incoraggianti”, secondo monsignor Michael F. Burbidge di Raleigh, nella Carolina del Nord, a capo del Comitato per il clero, la vita consacrata e le vocazioni dell’episcopato statunitense. Burbidge indica come fondamentali per questo incremento le famiglie dei nuovi sacerdoti, le loro parrocchie e le scuole cattoliche in cui si sono formati. Il tratto educativo fa dunque la differenza. Si tratta, nel complesso, di un aumento del 25% rispetto al 2014, quando a essere ordinati sacerdoti sono stati in 477, mentre l’anno precedente erano stati 497, secondo i dati della Conferenza episcopale americana. Un incremento quanto mai importante per gli Stati Uniti dove una parrocchia su cinque non ha un sacerdote stabile.

Punti di riferimento. L’età media dei nuovi religiosi è 31 anni. Questi preti sono quindi leggermente più giovani rispetto a quelli ordinati negli ultimi anni. In media hanno cominciato a considerare questo percorso a 17 anni e sono stati incoraggiati nella scelta soprattutto da quattro tipologie di persone. La maggior parte ha indicato il parroco come la personalità che li ha ispirati ad approfondire la chiamata. Meno della metà ha detto invece che sono stati familiari, amici o parrocchiani, stando a una ricerca del Center for Applied Research in the Apostolate che ha sede presso la Georgetown University. Ryan Muldoon, un seminarista ventitreenne co-autore dello studio sulle vocazioni, spiega che più di tutto a influenzare è la figura positiva di un sacerdote: “Per quanto possa sembrare singolare nella iper-secolarizzata società americana, un prete può essere molto rispettato e ammirato da un giovane. Vedendolo impegnato nella comunità, un ragazzo può riflettere e dire: sembra felice e soddisfatto del suo ruolo, mi ci vedo a fare quello che fa”.

College cattolici. Lo studio del Center for Applied Research in the Apostolate ha anche evidenziato che ad ascoltare la vocazione sono stati in misura maggiore giovani che hanno frequentato università cattoliche, dove hanno incontrato preti-professori e dove l’accesso ai sacramenti e all’orientamento spirituale era più tangibile che altrove. “Quel che emerge è che non bisogna avere timore di dire a un ragazzo: ‘ehi, tu saresti un fantastico prete’”, spiega Timothy Muldoon, professore di Teologia al Boston College (nessun legame di parentela con il seminarista Ryan Muldoon, ndr). “A volte ci sono ragazzi affabili e molto comunicativi, che hanno una predisposizione molto forte alla preghiera e un atteggiamento sereno e pieno di fede, genuino. Beh, perché non chiedere loro se hanno mai pensato a farsi prete?”.

Infanzia e background. La maggior parte dei nuovi o futuri preti si sono descritti come cattolici fin dall’infanzia; il 7%, invece, ha dichiarato d’essersi convertito in età adulta. L’84% ha detto di avere entrambi i genitori cattolici, e il 37% ha indicato di avere almeno un parente sacerdote o diacono. Per metà questi nuovi preti hanno frequentato scuole elementari cattoliche. L’80% è stato chierichetto e almeno la metà è stato spesso lettore durante la messa. Il 70% ha dichiarato d’aver recitato il rosario regolarmente prima del seminario, e la stessa percentuale ha confermato d’aver partecipato all’adorazione eucaristica. “È come allevare campioncini di baseball”, dice Timothy Muldoon. “Si tratta di capire – aggiunge – chi sono i ragazzi di talento e farli crescere, rafforzarli nella loro preparazione. Le persone giuste ci sono, loro sentono l’incoraggiamento e ci pensano…”.

Percorsi e gruppi etnici. Quasi il 70% dei nuovi ordinati si è identificato come persona di etnia caucasica: si tratta di bianchi dal retroterra familiare europeo, specie italiano e irlandese. Il 14% invece è ispanico o latino, mentre il 10 di origine asiatica o delle isole del Pacifico. Colpisce quindi soprattutto la scarsità di sacerdoti di origine centroamericana e sudamericana, se si considera che gli ispanici oggi rappresentano quasi un terzo dei cattolici negli Stati Uniti e quasi la metà dei cattolici sotto i quarant’anni.

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