La sua ed altre testimonianze sono state raccolte dal settimanale della diocesi di Rimini “Il Ponte”, che dedica questa settimana una speciale inchiesta per conoscere meglio, al di là dei numeri e delle cronache, i 300 profughi richiedenti asilo ospitati nel territorio riminese.
Uno sforzo, quello di raccontare le storie di chi arriva via mare, che viene fatto a livello giornalistico solo da pochi pionieri coraggiosi o dalla stampa specializzata: perché si semplifica, perché si cerca il clamore e la sensazionalità, si preferisce dare la parola ai politici e a chi grida più forte, dimenticando spesso di far parlare loro, i profughi, che sono oggi i nostri “grandi poveri”. In questo modo il giornalista sensibile ai temi sociali dovrebbe compiere il suo ruolo importante di “dare voce a chi non ce l’ha”, rendendoli protagonisti, pur nella difficoltà di approcciare lingue, situazioni e culture diverse.
Solo così, immedesimandosi anche emotivamente e con il cuore, le storie dell’altro possono diventare le “nostre” storie. Perché se abbiamo avuto la fortuna, e non il merito, di nascere nel Paese “giusto”, non è detto che quanto sta accadendo dall’altra parte del mare, in termini di povertà, ingiustizia, violenze, sopraffazioni, violazioni dei diritti e guerre, non possa mai accadere da noi. O quantomeno può accadere qualcosa di simile, anche se in scala umanamente molto più accettabile. Perché come diceva il grande e compianto reporter polacco Riszard Kapuscinski, che poteva fare ancora il lavoro come andava fatto, viaggiando in Africa e raccontando in prima persona i fatti e le storie, “il cinico non è adatto a questo mestiere”.
Papa Francesco l’ha capito bene quando ci invita a guardare i volti dei poveri. Riportarne le voci, per un vero giornalista e una testata autorevole e seria, dovrebbe essere una priorità.
Per leggere i take sulle testimonianze raccolte dal settimanale “Il Ponte”: clicca qui