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La comunicazione o è crossmediale oppure è fuori asse

Di Fabio Mandato
Ci sono luoghi che ormai è impossibile non abitare. Sono quelli del digitale, dove la storia personale di ciascuno e della società è raccontata. Con parole nuove, in modi diversi, con tempi diversi. Se ne è parlato ieri a Paola (Cosenza) in occasione dell’incontro “Comunicare nell’era del crossmediale. La fonte, la persona, i diritti”, nell’ambito degli appuntamenti previsti dal Festival della comunicazione, in corso a Cosenza.
Dati inequivocabili. Secondo l’ultimo rapporto Censis-Ucsi, siamo un popolo di “digitalizzati”. Nel 2015 gli utenti di internet aumentano ancora (+7,4% rispetto al 2013) e arrivano alla quota record del 70,9% della popolazione italiana. È iscritto a Facebook il 50,3% dell’intera popolazione (il 77,4% dei giovani under 30), YouTube raggiunge il 42% di utenti (il 72,5% tra i giovani) e il 10,1% degli italiani usa Twitter. E se negli anni della crisi gli italiani hanno tagliato su tutto, di certo non l’hanno fatto sui media digitali. Sono beni ormai considerati essenziali.
Comunicare con parole nuove. L’esigenza è quella connaturata all’uomo da sempre, ovvero raccontare, ma l’obiettivo di oggi è farlo trovando “un vocabolario che consenta di entrare nel cuore e nella mente, in definitiva nella persona”. Della sfida del comunicare nel tempo del crossmediale ha parlato Vincenzo Corrado, caporedattore del Sir (servizio informazione religiosa). “Viviamo immersi nell’ambiente digitale, bacino incalzante e fluttuante d’informazioni e di dati”. Un bacino da abitare. Ma cos’è il crossmediale? “È un sistema integrato di comunicazione, dove la convergenza al digitale moltiplica l’offerta e l’opportunità di canali per comunicare questo ambiente” – prosegue Corrado. “La rete è l’ambiente ideale per la narrazione di ‘storie incrociate’ in cui gli utenti si sentono al centro della storia, diventando così spett-attori, e non soltanto fruitori”. Ambienti, territori, città, che non sono soltanto luoghi geografici, punti su una cartina, ma spazi abitati dalle persone, entro i quali spendere il proprio tempo. E se il tempo è prezioso, allora occorre che gli spazi vengano abitati con qualità. “In una società taggata, interconnessa, in rete – ha detto Corrado – il web è spazio privilegiato di aggregazione” capace di “produrre una voglia di comunicazione”, anche se “dovremo stare più attenti alla qualità della comunicazione che viene prodotta”.
Giornalisti crossmediali. “Chi non riesce a districarsi nel giornalismo multimediale è come se va in bicicletta o sul triciclo. Va piano”. Giuseppe Soluri, presidente dell’ordine dei giornalisti della Calabria, invita i tanti colleghi presenti a fare un passo dentro il crossmediale. “Quando ho iniziato la mia carriera in banca – ha detto Federico Bria, segretario della Bcc Mediocrati di Cosenza – pensavo che non ci sarebbe stato più bisogno di studiare. Avevo fatto il giornalista presso le tv, la radio, il giornale. Poi ho scoperto che per comunicare, raccontare la vita di una banca è importante la qualità del comunicare. Per questo ho svolto un master in bilancio sociale”. Storie di esperienze sul campo. Sul campo, presso il Sir, Corrado si occupa dei Settimanali diocesani da dieci anni. Per “ricentrare sulla persona” il comunicare suggerisce quattro step: “maturità umana, spiritualità, originalità propria, autoformazione permanente”.
Garantire l’informazione. Se gli strumenti del comunicare sono tanti, e realizzano aggregazioni, non vengano posti ostacoli al pluralismo dell’informazione. È risoluto Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc). Mesi di impegno a fianco delle 190 testate di ispirazione cattolica, minacciati, da un lato, dai tagli all’editoria; dall’altro – cronaca di queste settimane – dalla paventata ipotesi che prevede, per le Poste, la consegna a giorni alterni. Riguardo alla prima, l’argine che la Fisc ha cercato di porre è stata la campagna “Meno giornali meno liberi”, che per Zanotti significa “più giornali più libertà”. “È una campagna che fa cultura – ha detto – “perché il rischio è che venga meno una parte di Paese che noi rappresentiamo “. Riguardo alla vicenda delle Poste, invece, il presidente Fisc ha sollevato Il rischio che “si interrompa la catena della democrazia e tutti noi siamo più poveri”. A fargli eco Guglielmo Cevolin, docente di diritto dell’informazione dell’Università di Udine, che ha ricordato l’imprescindibile valore costituzionale del “pluralismo dell’informazione, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi modo si comunica”.
Comunicare con il joystick. Imparare a comunicare vale per ciascuno. Si pensi alle dinamiche familiari. Su questo, papa Francesco ha riflettuto nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di quest’anno. C’è un modo nuovo per incontrarsi in famiglia: il videogioco. Ad aprire un particolare campo di dibattito è Stefano Triberti, docente dell’Università Cattolica di Milano. Anche il videogioco è un ambiente che sfrutta l’interazione tra i media. Sui social, sul più noto Facebook, sono tanti i giochi che possono essere proposti, condivisi, utilizzati. Basta entrare, e spesso si viene inondati di inviti a giocare. “In questo modo sono nati anche i videogiochi integrativi” – prosegue Triberti – “e i media si intersecano coi nuovi media”. Una rivoluzione che non risparmia nessuna età, tanto che “oggi si parla di casual gamers, di giochi che vengono utilizzati da persone dai quattro agli ottanta anni”. In questa maniera, la comunicazione attraverso i videogiochi riunisce le famiglie. “Il videogioco si è spostato dalla camera alla stanza da pranzo e per i genitori è positivo, perché consente di controllare e monitorare i figli, dà possibilità di stringere legami all’interno della famiglia. E anche se è virtuale, genera incontro, dialogo, confronto. Diventa, in questa maniera, il nuovo focolare domestico”.
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