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L’Europa spazzi via il circolo vizioso tra minerali e guerre

Di Michele Luppi
Un vero e proprio bombardamento di mail (in gergo mail bombing) è in corso da alcuni giorni da parte dei cittadini di tutta Europa, per fare pressioni sui parlamentari europei in vista dell’approdo a Strasburgo della nuova legge sulla trasparenza nelle importazioni di minerali provenienti da zone di conflitto. La proposta della Commissione sarà in discussione martedì 19 maggio per arrivare poi al voto nella giornata di mercoledì.
Una legge ambiziosa. In vista di questo appuntamento una rete di associazioni ed organizzazioni di diversi Paesi europei ha lanciato una campagna (www.justicepaix.be) per chiedere ai parlamentari europei di introdurre alcuni correttivi al testo che approderà in aula. “L’obiettivo preannunciato – scrivono i promotori – è quello di rompere il legame tra le risorse naturali e conflitti, come il caso della zona orientale della Repubblica Democratica del Congo ma anche della Birmania, della Colombia o ancora dello Zimbabwe e della Repubblica Centrafricana. Ad oggi sono le popolazioni che pagano, con violenze e condizioni di vita indegne, il prezzo dello sfruttamento di alcune risorse naturali. Mentre accogliamo con favore che un’iniziativa del genere sia stata presa dall’Unione Europea, non possiamo non sottolineare la debolezza del sistema attualmente proposto dalla Commissione per il commercio internazionale del Parlamento Ue”.
Il lungo cammino della legge. Il tema della trasparenza nel settore estrattivo non è un tema nuovo per quanto riguarda l’Unione europea. Il voto del 20 maggio rappresenta, infatti, il termine di un percorso portato avanti da alcuni anni. Un impulso in questo senso era arrivato nel 2010 con l’approvazione da parte del Congresso degli Stati Uniti della Dodd Frank act, una legge che impone alle aziende statunitensi quotate in Borsa di certificare che lo stagno, il tantalio, il tungsteno e l’oro utilizzato nelle loro produzioni non provenga dalle zone di conflitto della Repubblica Democratica del Congo e dei Paesi di confine. Una regione in cui, documenti delle Nazioni Unite, hanno più volte dimostrato il circolo vizioso di sfruttamento dei minerali e guerra. Un primo passo in questo senso l’Unione europea l’aveva compiuto nel 2013 con l’approvazione di una direttiva che chiede alle grandi compagnie estrattive di rendicontare i pagamenti (sopra i 100mila euro) nei confronti dei Paesi in cui operano. Una seconda direttiva, del settembre 2014, chiedeva alle stesse compagnie di rendere pubbliche anche informazioni non finanziarie riguardo a questioni ambientali, sociali e occupazionali, rispetto per i diritti umani e corruzione.
Le critiche al testo. Il testo che approderà a Strasburgo presenta però alcune critiche che hanno spinto le organizzazioni europee della società civile a invocare una legge più “ambiziosa”. Per prima cosa si chiede ai Parlamentari europei di non limitare – come previsto dalla proposta – la nuova legge sulla tracciabilità solo alle importazioni di oro, stagno, tantalio e tungsteno, ma a tutti i minerali. In secondo luogo si auspica che l’obbligo di certificare la non provenienza dei minerali da zone di conflitto sia esteso a tutte le imprese e non solo alle fonderie e raffinerie dell’Unione europea. Temi che saranno al centro del dibattito nell’emiciclo.
L’appello di cento vescovi. Un richiamo ad un maggior impegno per la trasparenza è contenuto anche in un documento (scaricabile dal sito del Cidse) sottoscritto da oltre cento vescovi di tutto il mondo. “Attraverso questa catena di approvvigionamento – scrivono i presuli -, alcune compagnie europee sono complici di abusi. Questa situazione è intollerabile”. Da qui l’invito ai parlamentari europei: “L’Unione europea ha un’opportunità unica di porre fine a conflitti legati alle risorse, che hanno rappresentato il 40% di tutti i conflitti globali degli ultimi 60 anni. Noi chiediamo ai parlamentari europei e ai governi europei di rispondere a questa sfida”.
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