Piazza San PietroDi Luca Marcolivio da Zenit

La missione di annunciare Cristo risorto non è un “compito individuale” ma un impegno che si vive “in modo comunitario, con il collegio apostolico e con la comunità”, sulla scia di quanto fatto da Gesù con gli Apostoli.

Lo ha detto stamattina papa Francesco durante l’omelia sul sagrato della basilica di San Pietro per la canonizzazione di quattro religiose:Giovanna Emilia De Villeneuve (1811-1854), Fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres;Maria Cristina dell’Immacolata Concezione (1856-1906), Fondatrice delle Suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato;Maria Alfonsina Danil Ghattas (1843-1927), Fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme; Maria di Gesù Crocifisso (al secolo: Maria Baouardy), (1846-1878), Monaca Professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

Traendo spunto dalla lettura del giorno  (cfr. At 1,21-22), il Santo Padre ha ricordato che quello di Apostolo non è una “carica” bensì un “servizio” e il suo significato essenziale è “essere testimone della risurrezione di Gesù”.

Tutte le comunità cristiane, dalla Resurrezione ai giorni nostri, sono nate dalla fede nella testimonianza di chi ha vissuto personalmente quell’evento, in “una catena ininterrotta dispiegata nel corso dei secoli non solo dai successori degli Apostoli, ma da generazioni e generazioni di cristiani”.

Ogni cristiano, quindi, nessuno escluso, “è chiamato a diventare testimone della sua risurrezione, soprattutto in quegli ambienti umani dove più forte è l’oblio di Dio e lo smarrimento dell’uomo”.

Per realizzare questo compito il discepolo di Cristo deve “rimanere nel Suo amore” (cfr 1Gv4,16), stando unito a Lui “come i tralci alla vite, per portare molto frutto (cfr Gv  15,1-8)”.

È un amore che “risplende nella testimonianza di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, che ha consacrato la sua vita a Dio e ai poveri, ai malati, ai carcerati, agli sfruttati, diventando per essi e per tutti segno concreto dell’amore misericordioso del Signore”, ha detto il Papa con riferimento alla prima delle canonizzate.

“Rimanere dell’amore” fu anche la virtù di suor Maria Cristina Brando, donna “completamente conquistata dall’amore ardente per il Signore; e dalla preghiera, dall’incontro cuore a cuore con Gesù risorto, presente nell’Eucaristia, riceveva la forza per sopportare le sofferenze e donarsi come pane spezzato a tante persone lontane da Dio e affamate di amore autentico”.

Il Pontefice ha poi tracciato il profilo delle canonizzate che hanno fatto più notizia: suor Maria Baouardy e suor Maria Alfonsina Danil Ghattas, prime sante palestinesi dell’epoca moderna, testimoni della “gioia di seguire il Signore nella via della sua povertà, della sua verginità e della sua obbedienza”, in virtù di “quello stesso amore chiama a coltivare la preghiera contemplativa”.

“Umile e illetterata”, Maria Baouardy seppe dare “consigli e spiegazioni teologiche con estrema chiarezza, frutto del dialogo continuo con lo Spirito Santo”, grazie al quale fu anche un’antesignana dell’“incontro” e della “comunione con il mondo musulmano”.

Da parte sua Maria Alfonsina Danil Ghattas ben comprese “che cosa significa irradiare l’amore di Dio nell’apostolato, diventando testimone di mitezza e di unità”, offrendoci “un chiaro esempio di quanto sia importante renderci gli uni responsabili degli altri, di vivere l’uno al servizio dell’altro”.

Il “luminoso esempio” delle quattro nuove sante, ha proseguito il Papa, “interpella anche la nostra vita cristiana: come io sono testimone di Cristo risorto? Come rimango in Lui, come dimoro nel suo amore? Sono capace di “seminare” in famiglia, nell’ambiente di lavoro, nella mia comunità, il seme di quella unità che Lui ci ha donato partecipandola a noi dalla vita trinitaria?”.

A conclusione dell’omelia, Francesco ha esortato a seguire “le orme di queste quattro donne, modelli di santità, che la Chiesa ci invita ad imitare”, coltivando “l’impegno a dimorare nell’amore di Dio, rimanendo uniti a Lui e tra di noi”.

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