Ci sono voluti 21 anni, gli ultimi due di “rimbalzi” tra Camera e Senato, ma la legge approvata il 19 maggio consentirà di contrastare l’illegalità in campo ambientale con strumenti più efficaci valutando e punendo i reati ambientali secondo una loro tipologia specifica e non per analogia con altri tipi di reati, a tutto vantaggio dell’integrità dell’ambiente e della salute dei cittadini. Un provvedimento doveroso. Anche se non potrà restituire la salute o la vita a chi ha pagato un prezzo troppo alto all’inquinamento prodotto da disastri ambientali spesso impuniti, o dovuto all’ignoranza, all’incuria e alla criminalità, non di rado mafiosa e in progressiva crescita, che senza alcun rispetto ha sfigurato interi territori del nostro Paese, la nuova legge renderà improbabile il ripetersi dello scandalo del blocco per decorrenza dei termini di processi per disastri ambientali come la strage da eternit o l’inquinamento di falde idriche provocato da discariche industriali fuori controllo.
Un duro colpo alla criminalità “ambientale”, in costante ascesa e con un profitto stimato in circa 15 miliardi di euro l’anno, che ha potuto farla franca contando fino ad oggi su una pressoché totale impunità. Questa strada la Francia, la Spagna, l’Austria e la Germania hanno cominciato a percorrerla già dal 2008. Il 19 maggio 2015 ci siamo arrivati anche noi, quasi alla vigilia dell’attesa enciclica di Papa Francesco dedicata ai temi ambientali. Coincidenza provvidenziale? Forse, e comunque meglio tardi che mai.