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Murales, quella bimba rom chiede solo di vivere

Con i suoi grandi occhi ti fissa e nel tuo cuore qualcosa si muove. Sono occhi di bimba. Occhi innocenti e, al tempo stesso, occhi pieni di malinconia. Sono occhi di una bambina rom, protagonista di un enorme murales che campeggia su una palazzina nel quartiere di Ponticelli, a Napoli, in via Merola. L’opera si trova in quell’area del capoluogo partenopeo – Napoli est -, dove sette anni fa bruciarono i campi nomadi, dopo il tentativo di un rapimento di una bimba da parte di una ragazza rom.
Il maxi-graffito di 20 metri d’altezza è opera di Jorit Agoch: attraverso l’arte si tenta di riconciliare il quartiere della zona orientale con quei giorni drammatici.

Caccia al rom, come caccia alle streghe. “Con quest’opera abbiamo rotto uno schema”, ha detto l’assessore comunale al Decoro urbano Ciro Borriello. Lo “schema” di cui parla l’assessore è quel pregiudizio, resistente a ogni attacco, che i rom sono da mandare via. Il titolo del murales è “Tutt’egual song ‘e criature”, i bambini sono tutti uguali, da una canzone di Enzo Avitabile. L’iniziativa rientra nell’ambito della campagna nazionale “Accendi la mente, spegni i pregiudizi”, promossa dall’associazione napoletana Inward, osservatorio sulla Creatività urbana, con il Comune di Napoli e l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Ora quegli occhi di una bambina rom fissano tutti coloro che passano davanti a quel palazzo e sembrano chiedere: “Non ho anch’io diritto a un futuro? Non faccio anch’io parte della famiglia umana?”. A Ponticelli, come in tanti quartieri di altre città, i rom non sono una presenza gradita. Ci sono tante associazioni che si battono per loro, ma anche tanti che cavalcano la protesta di chi si sente minacciato dalla loro presenza e dal loro modo di vivere e chiede per questo che siano allontanati. Il murales di Ponticelli non entra nelle polemiche tra chi vorrebbe cacciare i rom e chi li vorrebbe integrare. Dice semplicemente, attraverso il linguaggio universale dell’arte, che ci sono tanti bambini rom, come la piccola ritratta, che hanno diritto a vivere un’esistenza degna. Quegli occhi ci interpellano e ci dicono che il razzismo non è mai una cosa bella.

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