IL SIMBOLO DEL FUOCO. Dio si manifesta nel fuoco: «Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi”. Riprese: “Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio» (Es 3,1-6).
Il fuoco è segno della presenza di Dio che, con la sua potenza, garantisce la fedeltà alle promesse fatte. Non a caso ciò che brucia nella visione di Mosè è un roveto: esso evoca facilmente le spine e i cardi che il suolo, maledetto da Dio a causa dell’uomo, avrebbe prodotto (Gen 3,17-18). Ma questi non si consumano! La liturgia, in una stupenda antifona, c’invita a vedere in questo roveto che non si consuma una prefigurazione della verginità di Maria, la prima, vera, autentica abitazione di Dio tra gli uomini. Qui, di nuovo, Dio annuncia che la salvezza è iniziata e che l’amore di Dio muta la natura stessa. Proprio questa natura, un tempo maledetta a causa dell’uomo, per la misericordia e l’onnipotenza divina sarà resa capace d’incarnare lo stesso Figlio di Dio, vero luogo dell’abitazione di Dio. «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo» (Es 3,5). Dal suolo santo originario l’uomo era stato scacciato e la spada folgorante dei cherubini impediva la via dell’albero della vita (Gen 3,24); ora Dio si manifesta presente nella fiaccola ardente che passa in mezzo agli animali divisi da Abramo (Gen 15,17-18), nella colonna di fuoco che guida il popolo ebreo all’uscita dall’Egitto, nel fuoco che consuma il giovenco di Elia. La vittima sacrificata e gradita a Dio viene consumata dal fuoco.
Lo stesso vocabolo «altare» deriverebbe, secondo l’etimologia più accreditata, da una radice che significa «ardere», bruciare (verbo latino ārēre = ardere, bruciare): altare perciò come «luogo dell’arsione». Il rito della benedizione del fuoco nuovo, e particolarmente il cero pasquale che da quello prende la fiamma, manifestano questo simbolismo. La collocazione del cero accanto al fonte battesimale o, durante il tempo pasquale, accanto all’ambone, è annuncio di Cristo risorto, presenza che avvolge coloro che in tale mistero s’inseriscono partecipando al sacramento battesimale e all’ascolto della Parola di Dio (cfr. SC, n. 7); I battezzati venivano chiamati gli «fōtozúmenoi, illuminati», cioè coloro che avevano partecipato alla purificante luce di Cristo, in Spirito Santo e fuoco. Il fuoco, con la sua luminosità e il suo vibrare, è segno di vita, e in questo senso è tuttora mantenuto nella fiamma delle candele accese durante le celebrazioni liturgiche. La descrizione che ci fa Luca della Pentecoste ricalca la teofania del Sinai (tornano i medesimi elementi, quali ad esempio il vento impetuoso, il fuoco …). La potenza dello Spirito scende sugli apostoli riuniti nel cenacolo, e li trasforma da uomini timorosi in testimoni. L’evangelista ci offre tre immagini dello Spirito. Anzitutto quella del vento, uno degli elementi naturali più misteriosi. Difatti è allo stesso istante invisibile, inafferrabile e imprevedibile; eppure spezza in noi ciò che è rigido, bloccato e refrattario comunicandoci il calore dell’amore (cfr. la Sequenza di Pentecoste), che guarisce da ogni paura, soprattutto quella della sofferenza e della morte.
La seconda immagine è quella del fuoco. Il fuoco illumina e riscalda, difende e crea intimità. Inoltre, rende il cibo digeribile, purifica il metallo, mantiene la vita sana e forte. Lo Spirito è un fuoco trasformante: chi si affida a Lui cambia realmente. La terza immagine è quella della lingua, con la quale si annunciano le grandi opere di Dio. Lo Spirito insegna all’umanità una nuova grammatica: dona un linguaggio di comunione, una parola che costruisce ponti. Il filosofo tedesco M. HEIDEGGER diceva che la lingua è la casa dell’essere, e che gli uomini dovrebbero di nuovo imparare a dimorare nella Parola. Questo si è compiuto nel giorno di Pentecoste! Lo Spirito scende infine su tutti e su ognuno: è un dono che si personalizza, che pone fine alla confusione babelica e inaugura la nuova umanità. Con il compimento della cinquantina pasquale – anticipo e caparra del giorno senza tramonto – la Chiesa raccoglie ancora i suoi figli in preghiera in attesa dell’effusione dello Spirito Santo. «O cenacolo, nel quale venne gettato il lievito che fece fermentare l’intero universo!» – canta Efrem il Siro. «Questo fuoco raduna coloro che dal di fuori desiderano vederlo, mentre conforta quanti lo ricevono. O fuoco, la cui venu- 2 ta è parola, il cui silenzio è luce!».
IL SENSO DELLA VEGLIA CRISTIANA. La notte, con le sue tenebre e il suo silenzio, incute paura e può essere vista come simbolo della morte che minaccia la vita dell’uomo. Per il cristiano, tuttavia, la notte è diventata un tempo di raccoglimento e preghiera grazie al Signore Gesù. È infatti dal cuore della notte più tenebrosa che è sorto il giorno nuovo dischiuso dalla sua risurrezione. La Chiesa, nell’Exsultet, esclama: «O notte veramente beata, che, sola, hai potuto conoscere l’ora in cui Cristo è risorto dal sepolcro». Da quel preciso istante, la notte è diventata un tempo di veglia, dove nell’ascolto delle Scritture si fa memoria dell’evento pasquale e si attende il ritorno ultimo e glorioso del Crocifisso Signore. Così sono iniziate le veglie cristiane. Dapprima i cristiani si riunirono in preghiera nella notte precedente la domenica. In seguito questa usanza si estese alla Pasqua annuale, dando origine alla grande Veglia pasquale. La «madre di tutte le veglie», come la chiamava sant’Agostino, sarà poi il modello di tutte le altre veglie che, poco alla volta, precederanno le altre grandi solennità che commemorano gli avvenimenti della vita di Gesù.
LA VEGLIA DI PENTECOSTE. Attraverso le letture della Veglia, la Chiesa ci aiuta a percorrere sostanzialmente il cammino dell’umanità e alcune tappe delle Storia della salvezza culminanti in Gesù Cristo morto e risorto: dalla dispersione, provocata dal peccato di Babele (Gen 11,19), alla scelta di un popolo chiamato a essere strumento per radunare le genti nella confessione dell’unico Dio (Es 19,3-8a.16-20b). Ma questo popolo è stato infedele alla sua vocazione. Ridotto all’esilio, è presentato dal profeta Ezechiele come un esercito sterminato di ossa aride (Ez 37,1-14). Ma Dio promette una nuova effusione del suo Spirito, nella quale un giudizio di salvezza si estenderà su quanti avranno invocato il suo nome (Gl 3,1-5). Il Messale suggerisce d’inserire la veglia nella Messa. La liturgia della Parola prevede allora altre due letture. La prima è tratta dalla lettera ai Romani ed evidenzia il gemito della creazione, dell’uomo e dello Spirito (Rm 8,22-27). Il brano evangelico invece è tratto dal Vangelo di Giovanni e presenta Gesù come la fonte dell’acqua viva che disseta l’arsura dell’umanità (Gv 7,37-39).
IL CINQUANTESIMO GIORNO. Giunge finalmente il cinquantesimo giorno! La pienezza della Pasqua, il dono dello Spirito ha colmato il Corpo risorto di Gesù così che egli, alitando, lo può effondere sulla Chiesa, come per una nuova creazione, per la remissione dei peccati, per trarre fuori tutti dalla morte. Se nel mistero dell’ascensione, Gesù ha introdotto la nostra umanità nella gloria di Dio, con la Pentecoste siamo resi partecipi di un prodigio non meno straordinario: lo Spirito di Dio riempie l’universo e inaugura la nuova creazione. Luca ne narra l’evento (At 2,1-11), Paolo ne descrive gli effetti (Ef 5,16-25), Giovanni, infine, parla della sua presenza e della sua azione nella vita dei credenti (Gv 15,26-27; 16,12-15). La vita cristiana è vita nello Spirito di Dio. La spiritualità cristiana non è qualcosa di vago che determina un benessere fisico o psichico passeggero, ma è esperienza dello Spirito che Dio ci ha donato attraverso Gesù. La Pentecoste ha dunque una sua perenne attualità. Non solo perché non c’è assemblea liturgica in cui lo Spirito Santo non sia presente: non solo nell’ascolto della Parola e nell’esperienza dei sacramenti, ma in qualunque momento della sua vita il cristiano è e rimane “battezzato”, cioè “immerso” nello Spirito Santo. La Pentecoste, dunque, ci invita a riflettere anche sulla dignità che scaturisce per noi da questa presenza. La Pentecoste segna la nascita della Chiesa. Lo Spirito, la sua effusione, costituiscono l’evento ecclesiogenetico per antonomasia. Senza la sua illuminazione non potrebbe esserci la comunità credente. Senza il suo dono, la missione del Figlio resterebbe oscura e inintelligibile. Questa valenza è sottolineata dal Prefazio: «Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo che agli albori della Chiesa nascente ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli e ha riunito il linguaggio della famiglia umana nella professione di un’unica fede». Sono temi già enunciati nell’Orazione colletta: «O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo e continua oggi, nella comunità credente, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo». Nella memoria dell’evento, che segna il punto di partenza della comunità cristiana che la istituisce finalmente capace di annunciare il Vangelo, l’invocazione «Vieni, Santo Spirito» è certamente domanda relativa alla crescita della Chiesa e in essa dei doni che egli effonde; si estende però anche a quel rinnovare la terra, di cui solo lo Spirito è capace. Prendiamo, dunque, congedo dal tempo pasquale, certi della presenza alacre dello Spirito del Risorto, nella Chiesa del Cristo e nel mondo che è di Dio.