La riabilitazione tardiva di monsignor Romero fa emergere oggi la forza della verità, che seppure in ritardo e con difficoltà, getta una luce chiara su questo grande personaggio e sui fatti storici del periodo: durante le dittature militari appoggiate dagli Usa in molti Paesi latinoamericani, El Salvador compreso, tantissimi sacerdoti, catechisti e semplici fedeli scelsero di stare dalla parte dei poveri e delle vittime e di denunciare le ingiustizie e la repressione. Non per fanatismo o per ideologia. Semplicemente perché era giusto. Molti pagarono un prezzo altissimo: torture, persecuzioni, la vita stessa.
Forse solo un Papa che ha vissuto nel suo Paese situazioni simili ha potuto comprendere in profondità il significato di quel tempo della Chiesa, ecco perché la svolta repentina in un processo di canonizzazione che ha dovuto superare molti pregiudizi. In quegli anni tanti hanno fatto finta di non vedere o di non sentire le sofferenze del popolo, i genocidi, le violazioni dei diritti umani. Oggi a San Salvador sono attese oltre 250mila persone, e ci saranno anche i responsabili di alcuni governi, oltre a cardinali, arcivescovi e vescovi. Nei dibattiti di questi giorni sulla stampa latinoamericana c’è anche chi teme che molti ipocriti inneggeranno alla santità di Romero mentre fino al giorno prima ne sparlavano. Ma oggi non è il giorno delle polemiche, è il giorno della festa.