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Una grande occasione per riscoprirsi comunità

Di Don Adriano Bianchi
Massa, folla, pubblico, gruppo e comunità. Mentre ci prepariamo a vivere in città il Festival della comunità (31 maggio-5 giugno) e che avrà il cuore nella Festa del Corpus Domini, mi piacerebbe riflettere, almeno un poco, su qual è la reale percezione del nostro vivere sociale insieme, come bresciani. In qualunque contesto urbano convivono oggi diversi tipi di formazioni sociali, tutte legittime. Anzitutto, in una città medio grande come Brescia, non possiamo aspirare ad essere un gruppo: i numeri ce lo impediscono. Nei gruppi tutti i membri si conoscono, hanno rapporti stabili, sono consci di una comune appartenenza, interagiscono in vista di un medesimo scopo. Ci sono giorni e occasioni, altresì, che camminando per la città ci troviamo immersi nella folla, un’altra formazione sociale. La folla è racchiusa in uno spazio particolare, è temporanea, ha una struttura non ordinata e non omogenea. Anche questa non è sufficiente a rappresentarci al meglio. Il pubblico, invece, è qualcosa di grande, disperso, ma stabile, si forma attorno un’opinione, un interesse, un gusto. Non sempre vogliamo essere pubblico, anche se lo siamo continuamente nei fatti.
Il rischio più grande è però vivere il nostro stare insieme nella città come massa. La società di massa, che nasce con l’industrializzazione, è una formazione sociale definita non dalla quantità, ma dal tipo di relazioni tra gli individui e tra gli individui e la società. Le relazioni sono per lo più impersonali, gli obblighi formalizzati, il lavoro diviso e routinizzato, vige una certa omogeneità di consumi, stili di vita e abitudini. La massa suona molto come il contrario dell’essere comunità. Per questo la comunità ci interessa e l’essere massa c’impaurisce.
La Brescia di oggi e di domani cosa aspira ad essere? Sempre più una comunità che si riconosce in una memoria, in uno stile di relazioni, in un percorso di crescita e di sviluppo delle persone e delle istituzioni, dei valori che l’hanno plasmata e delle sfide che il futuro le pone? Oppure vive rassegnata il disgregarsi del suo tessuto in una logica di massa? Il Festival che a tema mette l’essere comunità ha l’ambizione di rendere visibile un percorso ideale per non disperderci, per ritrovare il cum munus (il patrimonio comune), ma anche il cum humus (il terreno comune) che ci fa dire di essere una comunità. La parola “comunità” in sé è spesso abusata, a volte consunta, ha trovato spazio in ogni settore dall’economia: nei servizi, nell’urbanistica, nell’informazione, ma è, grazie a Dio, patrimonio di tutti.
Lo stile con cui Corpus Hominis la riproporrà è quello di una Chiesa che non intende rivendicare spazi, ma aiutare a sostenere i processi di condivisione nella città. Non è facile, ma speriamo sia possibile. L’eucaristia e la misericordia ci faranno da traccia. È la logica del dono, dell’amore, quello che trova poi nelle opere sia corporali che spirituali vissute il modo in cui una città si fa comunità. È quando guarda alle sue ferite (quella della fame, della sete, della malattia, del carcere…) responsabilmente, le accoglie e creativamente le sana.
Brescia lo ha fatto e lo fa. Così continua a costruire se stessa e il suo futuro. Ce ne rendiamo conto? Non abbastanza, forse. Ai bresciani che vivranno gli eventi del Festival offriremo la possibilità di questa consapevolezza. Una sosta fatta di arte e cultura per non disperdere il senso di un cammino comune. Ci rincuora in questo intento l’indizione del giubileo della Misericordia da parte di papa Francesco, di cui il Festival della comunità potrà divenire un prodromo ideale.
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