Sono 106 le persone incriminate, in Pakistan, per il brutale omicidio della coppia di giovani cristiani linciati e bruciati vivi il 3 novembre 2014, in Punjab. Sajjad Mesih, 26 anni, e sua moglie Shama, 24, incinta del quinto figlio, furono arsi vivi da una folla inferocita di musulmani che li accusava di blasfemia, dentro una fornace per cuocere mattoni. Il fatto era accaduto nel villaggio “Chak 59”, nei pressi della cittadina di Kot Radha Kishan, a sud di Lahore. L’accusa alla coppia era di aver bruciato le pagine del Corano.
Più precisamente – secondo le ricostruzioni – alla morte del padre di Shahzad, la moglie Shama, ripulendo l’abitazione, aveva preso alcuni oggetti personali, carte e fogli dell’uomo, ritenuti inservibili, facendone un piccolo rogo. Un musulmano, che aveva assistito alla scena, asseriva in quel rogo vi sarebbero state pagine del Corano. Ha quindi sparso la voce nei villaggi circostanti e una folla di circa 400 persone, provenienti da cinque villaggi a sud di Lahore, ha sequestrato i due giovani. I quali sono stati poi tenuti in ostaggio per due giorni nella fabbrica in cui lavoravano e, alle 7 della mattina del 3 novembre, sono stati spinti nella fornace. Avvisata da altri cristiani, la polizia era intervenuta constatando il decesso e arrestando, per un primo interrogatorio, 35 persone.
Ora – secondo quanto riportato dai media locali – il tribunale antiterrorismo pachistano accusa tre predicatori islamici di essere, con i loro discorsi, all’origine delle violenze. Ha quindi incriminato 106 persone, mentre 32 sono ancora in libertà.
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