La crisi non è finita se alle porte delle Caritas continuano a bussare sempre nuovi poveri, che nel frattempo “sono diventati vecchi poveri”. “È un’Europa senza futuro” quella che fa fatica ad accogliere in maniera unanime poche migliaia di rifugiati e pensa invece a come poter distruggere i barconi dei trafficanti. Così parla il cardinaleFrancesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento da poco eletto, per la seconda volta, presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, presidente di Caritas italiana e della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali. Il cardinale era già stato presidente di Caritas italiana dal 2003 al 2008. Oggi dice di aver provato “l’emozione della seconda volta”. “Ho ritrovato vecchi amici e visto che l’impegno continua ad essere quello di sempre – afferma -. Questo mi riempie di speranza”.
Nel frattempo c’è stata la crisi, che ha portato con sé tante nuove povertà…
“Certo, da allora è cambiata la società, che è scivolata ancora più giù. Non sono più nuovi poveri, oramai sono diventati vecchi poveri. Ci vengono a chiedere le medicine, il pane, non riescono ad arrivare a fine mese. Purtroppo la povertà è sempre povertà, si aggiungono nuove problematiche. Questo è il motivo per cui la Caritas, espressione della Chiesa, deve essere sempre in stato di allerta per ascoltare i bisogni dei poveri. La Chiesa si fa compagna di viaggio, anche se non si possono dare tutte le risposte che si vorrebbe perché il nostro ruolo non è sussidiario: non possiamo sostituirci agli altri”.
Si parla di ripresa, ma nei fatti cosa risulta dal vostro osservatorio privilegiato?
“Da quanto tempo si dice che c’è la ripresa? Intanto, dietro le porte delle Caritas e degli episcopi continuano le file di chi cerca lavoro o ha bisogno di comprare le medicine. Forse al Nord un po’ di chiarore si intravede, al Sud ancora no. La disoccupazione giovanile al Sud è enorme. Ogni volta che entro in una scuola il cuore diventa più piccolo perché una parte di quei giovani partiranno. La Sicilia è una terra che si impoverisce. Poi quando vai al Nord ti accorgi che molti posti di responsabilità sono ricoperti da ragazzi meridionali e ti chiedi: ma queste persone non avrebbero potuto cambiare la situazione al Sud? Ma non ci sono le condizioni…”.
Giorni fa l’Alleanza contro la povertà, promossa anche da Caritas italiana, ha proposto al governo di introdurre il Reis, il reddito di inclusione sociale, per permettere a 6 milioni di persone di uscire dalla povertà assoluta. Che ne pensa?
“È una scelta che condivido perché non bisogna soltanto dare tesoretti a chi è nel bisogno: serve una politica che assicuri una vita dignitosa. La civiltà di una società si misura sulla capacità di guardare ai poveri e di rispondere ai loro bisogni. Invece, quando si fanno scelte in ambito sociale, spesso vengono penalizzati i poveri. Queste sono le contraddizioni di cui non si riesce a cogliere il capo della matassa. Se manca una politica come si fa a rimettere in piedi i poveri? Non dando il pacco della spesa”.
Intanto, secondo l’Ocse, in Italia aumentano le disuguaglianze: il 20% più ricco detiene il 61,6% della ricchezza nazionale.
“Stiamo diventando come l’America Latina. La forbice si allarga. Quando si compra una forbice le due parti sono uguali. Ora invece ci troviamo con una parte molto ampia (quella dei poveri) e una (quella dei ricchi) più fina ma più consistente. In questo modo la forbice non funziona più”.
Tra i cosiddetti “grandi poveri” ci sono i migranti. Alcuni provocatoriamente dicono che la Caritas aiuta solo gli immigrati…
“Io ribadisco: la Caritas aiuta tutti perché non è abituata a guardare solo il colore della pelle. Per cui se viene l’africano l’aiuta, se viene l’italiano lo aiuta. È ingrato dire che aiuta solo gli immigrati. La Chiesa non può fare scelte, aiuta chi ha bisogno”.
Cosa pensa della riluttanza di alcuni Paesi europei sulle quote di rifugiati da accogliere e sull’intervento per distruggere i barconi dei trafficanti?
“Non riesco a capire come si potrebbe realizzare questo intervento. Non credo che i libici ci batteranno le mani quando arriveremo lì. E gli immigrati pronti a venire in Europa, una volta che le navi saranno distrutte, cosa faranno? Staranno lì a prendere il sole? Il problema resterà identico. Troveranno altre vie per poter arrivare qui e vivere un po’ meglio. Una Europa che si dice unita, civile, ma che si poggia sull’egoismo e sugli interessi delle varie nazioni è un’Europa senza futuro. E perché le merci e il denaro si possono globalizzare, gli uomini no? Seguendo oggi queste logiche con gli immigrati, si corre il rischio che le stesse logiche potremo viverle domani all’interno della nostra nazione: l’anziano conta meno del giovane, il disabile conta meno di chi sta bene… e potremmo continuare la serie, arrivando ad una sorta di ‘far west’. Perché in questo modo elimineremo tutti quelli che non ci piacciono e ci terremo solo quelli che ci piacciono. È questa la civiltà?”.