“L’esercito è uno strumento della politica estera e di difesa. Oggi nell’Unione europea non si registra una politica estera convergente e quindi anche l’ipotesi di forze armate comuni non può essere all’orizzonte”. Il generale Vincenzo Camporini è, per sua stessa ammissione, un “federalista convinto”, ovvero un europeista a tutto tondo. Ma, facendo tesoro della sua lunga esperienza militare, non appare ottimista rispetto alla realizzazione di una difesa di scala europea. Eppure le minacce, interne ed esterne, non mancano… Il confronto con il generale – in servizio dal 1965 al 2011, fino a divenire capo di stato maggiore dell’Aeronautica e poi capo di stato maggiore della Difesa -, che oggi è vicepresidente dell’Istituto affari internazionali, parte dalla mobilitazione dei riservisti finlandesi, per poi approdare alla Russia, al Medio oriente e agli armamenti nucleari. Lo sguardo di Camporini, il quale ha maturato una vasta esperienza anche nell’ambito dell’Alleanza atlantica, si posa sugli scenari geostrategici.
La Finlandia spedisce una lettera ai suoi 900mila riservisti (su una popolazione di 5 milioni di abitanti), ricordando il dovere – in caso fosse necessario – di una mobilitazione immediata. L’“orso russo” torna a far paura a Helsinki?
“In realtà quella finlandese è una prassi piuttosto routinaria per un piccolo esercito che però conta su un’ampia riserva popolare. Che purtroppo in Italia non abbiamo. Non mi pare, comunque, vi sia nulla di strettamente correlato a una minaccia militare immediata. I rapporti tra Mosca e Helsinki sono storicamente piuttosto complessi. Semmai ritengo che sia un ulteriore segnale delle tensioni palpabili tra Est e Ovest: la situazione creatasi in Ucraina ne è il più evidente”.
Stati baltici e scandinavi avvertono da tempo una pressione ravvicinata…
“Quanto accade nell’est dell’Ucraina crea timori. Inoltre occorre ricordare che in alcuni Paesi aderenti all’Ue, come Estonia e Lettonia, ci sono consistenti minoranze russofone che sperimentano diritti affievoliti, con buona pace dei criteri di Copenaghen. Ciò potrebbe indebolire il senso di appartenenza di tali minoranze rispetto al Paese in cui si trovano. Per ora queste minoranze non aspirano a tornare alla ‘madre Russia’, soprattutto perché gli standard economici e sociali qui sono certo più elevati. Però…”.
Le tre repubbliche baltiche fanno parte della Nato e quindi godono della protezione solidale assicurata dal Trattato dell’Alleanza atlantica in caso di attacco esterno. Ma per la Finlandia, che non aderisce alla North Atlantic Treaty Organization, questo salvagente non esiste.
“È vero, come è altrettanto vero che la neutrale Finlandia ha fatto passi decisivi aderendo all’Unione europea e intavolando una collaborazione con l’Alleanza atlantica. Un’eventuale adesione formale alla Nato creerebbe di certo tensioni con Mosca, senza per questo arrivare a una vera minaccia armata. Piuttosto, occorre riflettere su un altro tema: la Russia, infatti, è un player internazionale e dunque i rapporti dell’Ue e della stessa Nato con Mosca vanno letti in quest’ottica. Pensiamo al peso che essa ha nell’Europa orientale, in Siria e in tutto il Medio oriente. Bisogna cercare e mantenere una collaborazione con Mosca”.
Generale, esattamente un anno fa il presidente statunitense Barack Obama ha caldeggiato un riarmo europeo. A che punto siamo? E lei cosa ne pensa?
“Segnalerei anzitutto che i capi di Stato e di governo della Nato nel settembre 2014, durante il loro vertice di Cardiff, assunsero l’impegno di procedere nell’arco di un decennio verso investimenti nel campo della difesa fino al 2% del Pil, soglia di spesa ritenuta adeguata per rispondere alle esigenze del settore. Bisogna d’altro canto ricordare che fino a qualche tempo fa la tendenza agli investimenti militari era verso la diminuzione, praticamente in tutta Europa, compresi i due Paesi più attrezzati, cioè Regno Unito e Francia. Negli ultimi tempi, complice forse la cronaca internazionale, l’Ucraina, l’Isis e il ritorno del terrorismo, si sono visti dei cambi di prospettiva proprio a partire da Londra, Parigi e anche nella Germania della cancelliera Merkel. Diciamo che dal punto di vista tecnico le capacità militari dell’Europa comunitaria nel suo insieme non solo all’altezza delle sfide attuali”.
A Bruxelles però si discute di difesa comune. Si arriverà a un esercito europeo?
“A mio avviso non esistono oggi le condizioni politiche necessarie. All’Ue manca infatti una vera politica estera condivisa, che è il primo passo per poter pensare a una difesa comune”.
Quali sono i fronti più “caldi” che la preoccupano?
“C’è tutto il Medio oriente in ebollizione, così come gran parte dell’Africa. Più vicino a noi l’Ucraina, la Georgia, l’Azerbaigian. Senza trascurare l’Estremo oriente, dove la Cina sta maturando la consapevolezza della sua forza. Temo che prima o poi qualcuno si possa far male”.
Proprio in questo periodo sono in atto discussioni sulla revisione del Trattato per la non proliferazione delle armi nucleari. L’atomica oggi è una minaccia reale?
“Dobbiamo anzitutto sperare che l’accordo con l’Iran regga. Ma se un domani Teheran non dovesse rispettare i patti, dotandosi di armamenti nucleari, ciò provocherebbe verosimilmente l’acquisizione di capacità nucleari anche da parte di Arabia, Turchia, Egitto. Finora l’atomica ha avuto un effetto dissuasivo, ma cosa potrebbe succedere una volta che il nucleare fosse nelle mani di quattro o cinque potenze in cui, di fatto, il rispetto per la vita umana è, per così dire, affievolito?”.
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