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Verranno ricollocati solo 40mila profughi E gli altri 85mila?

Gianni Borsa e Patrizia Caiffa
“Salvare rapidamente delle vite umane e assicurare alle persone che hanno bisogno di asilo una protezione nell’Ue, che si trovino in mare, sul territorio Ue o anche in un Paese terzo”. Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per la politica estera, ha spiegato così l’obiettivo complessivo delle misure sulle migrazioni che la Commissione ha delineato oggi, completando l’Agenda delineata il 13 maggio scorso. Molteplici le azioni proposte, sulle quali deve pronunciarsi il Consiglio dei ministri dell’Unione il 15-16 giugno, alla luce del parere del Parlamento europeo. La materia è complessa, tanto che richiederà per alcuni aspetti l’intervento del Consiglio europeo del 25-26 giugno.
40 mila profughi da ricollocare. I documenti resi noti a Bruxelles comprendono anzitutto un meccanismo di ricollocazione di 40mila profughi provenienti da Italia e Grecia (i due Paesi più esposti sul versante dell’accoglienza profughi) e giunti in questi Paesi dopo il 15 aprile di quest’anno. Tale meccanismo di intervento urgente, in applicazione dell’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, viene applicato per la prima volta in assoluto. La ricollocazione riguarderà in linea preminente persone cui è riconosciuto il diritto di protezione internazionale provenienti da Eritrea e Siria. La Commissione ha anche definito il numero di persone che spetterà a ciascuno dei 23 Stati Ue che partecipano al “meccanismo obbligatorio” (ne sono esclusi ovviamente Italia e Grecia, nonché Regno Unito, Irlanda e Danimarca che godono della clausola opt-out). I criteri per la ripartizione sono quattro: Pil, popolazione totale, disoccupazione, numero di richiedenti asilo in quello Stato. Per fare alcuni esempi, la Germania dovrebbe farsi carico di 8.763 persone, la Francia 6.752, la Polonia 2.659, l’Ungheria 827 in tutto. Per ogni persona ospitata il Paese d’accoglienza riceverà 6 mila euro. Sempre oggi la Commissione ha messo a punto altri aspetti dell’Agenda per le migrazioni: la reinstallazione di 20mila persone provenienti da Paesi terzi di cui è riconosciuta l’urgenza di protezione internazionale; il piano d’azione contro il traffico di migranti; le linee direttrici per il rilevamento delle impronte digitali di tutti i migranti in arrivo in Europa; una consultazione pubblica sulla “carta blu” per facilitare le immigrazioni di personale altamente qualificato.
Scontento e preoccupazione tra gli operatori. Tra chi si occupa dell’accoglienza dei migranti c’è però scontento e preoccupazione abbastanza unanime nei confronti della proposta Ue. Secondo monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, le quote previste non affrontano ancora il problema “in maniera condivisa e risolutiva”, mentre la scelta di trasferire soprattutto eritrei e siriani è “discriminatoria” nei confronti dei richiedenti asilo e riguarda solo “il 30% di chi arriva sulle coste del Mediterraneo”. È auspicabile quindi “una riforma del Regolamento di Dublino”. “L’Europa – osserva monsignor Perego – non ha ancora intenzione di rivedere il trattato di Dublino 3 e quindi di affrontare in maniera complessiva la questione dei richiedenti asilo e di coloro che attraversano il Mediterraneo”. Il direttore di Migrantes giudica “positiva” l’estensione delle operazioni di controllo e salvataggio dalle 30 miglia attuali alle 138 miglia dalle coste italiane. Negativo è invece il ricollocamento di sole 40mila persone, di cui 24mila dall’Italia, che però “non riguarda gli 85mila già presenti nelle nostre strutture, quindi non risolve il problema attuale ma lo rimanda nei prossimi due anni, senza conoscere quale sarà il flusso di persone previsto e senza tener conto che potrebbero cambiare le rotte, anche via terra”. “Sappiamo già che oltre 50mila persone hanno attraversato il confine tra Turchia e Grecia – fa notare -. Questo rimetterebbe tutto in discussione. Ci auguriamo che a metà giugno ci sia una riflessione più complessiva e si arrivi alla revisione del Regolamento di Dublino”.
L’esperienza sul campo. “La nostra esperienza si colloca nei territori, nasce, per così dire, dal basso. Siamo infatti in prima linea per l’accoglienza dei profughi”: Valerio Pedroni è coordinatore dell’area Milano e hinterland della Fondazione Somaschi onlus. Racconta di concreti percorsi di integrazione in comuni dell’area lombarda. “Noi vediamo che se si realizza un impegno congiunto tra pubblico e privato, tra società civile – cooperative, fondazioni, volontariato – ed ente locale, queste persone non creano problemi e possono addirittura diventare una risorsa per lo stesso territorio”. A Pedroni non mancano gli esempi, fra cui gli incontri tra profughi e classi scolastiche, con i quali i ragazzi vengono a conoscenza della realtà delle migrazioni di massa, della povertà e della mancanza di libertà e di diritti in tanti Paesi del mondo. “Sono opportunità di arricchimento”, di reciproca conoscenza, di scambio culturale; “l’accoglienza diventa anche fattore di coesione sociale”. Pedroni ritiene però che occorra al contempo “rivedere” e “riqualificare” le procedure per il riconoscimento dell’asilo, anche per evitare che i migranti “finiscano alla fine nelle mani della criminalità o del lavoro nero”. Infine un giudizio sul fatto che alcuni grandi Paesi europei si vogliano sottrarre all’accoglienza dei profughi giunti in Italia e Grecia: “In Europa occorre uno sforzo congiunto cui nessuno si può sottrarre”.
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