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Giù le mani dai Rom e dai romani…

La realtà è sulla strada. Per comprenderla occorre infilare le scarpe, parlare con la gente, perdere tempo, condividere, anzi convivere. Seduti a una scrivania. Connessi al pc. Impegnati tra i fornelli in casa. Persi nelle stanze di pubblici uffici. La realtà è sfalsata. I mille colori della vita sbiadiscono e tutto diventa bianco e nero. Buono e cattivo. Onesto e ladro. Angelo e assassino.
Roma, quartiere Aurelio-Boccea. Una macchina travolge un gruppo di passanti e in quella folle corsa, ferisce otto persone e uccide una donna. Ha 44 anni ed è di nazionalità filippina. A bordo di quell’arma omicida sparata a tutta velocità ci sono tre ragazzi Rom. Una è stata arrestata. Gli altri sono ancora ricercati. Il quartiere è in subbuglio. Non fanno in tempo ad arrivare le ambulanze che il rumore delle sirene si mischia con le urla dei passanti che gridano la loro rabbia. Sono esasperati, non perdonano. Per loro quello che è successo è una vera e propria “strage”. E da lì il colpevole perde nome e cognome e diventa tragicamente un popolo. “Investiamo gli zingari”. “Zingaro ladro assassino”. “Via tutti”. Una storia che a intervalli più o meno lunghi si ripete in questa Italia sempre più povera. A essere presi di mira qualche anno fa erano gli albanesi (tutti violenti), poi i romeni (tutti ladri) e oggi gli immigrati dei barconi che sono tutti jihadisti.
Alcuni uomini e donne della politica, a corto d’idee e di anima, stanno lì appollaiati come falchi affamati, pronti ad afferrare l’ultimo brandello di cronaca per cavalcare la notizia, blandire l’opinione pubblica, conquistare simpatia popolare a suon di tweet, dichiarazioni flash sui tg e qualche misera battuta sulle agenzie.
Ma la vita pulsa. E loro non la riescono ad afferrare. È una forza dirompente che va conosciuta, curata, amata. A pochi chilometri di distanza dal luogo dell’incidente c’è il campo della Monachina dove vivevano i tre nomadi protagonisti dell’inseguimento. Un cumulo di baracche, ai margini della città. Dove il degrado si unisce alla furberia, alla delinquenza, ai soldi facili. E da tempo che i romani, da queste parti si sentono abbandonati. Deve per forza scorrere il sangue per attirare l’attenzione dei media e della politica? Dove sono i partiti, i deputati della Repubblica e i sindaci? Dove erano qualche giorno fa? Verrebbe loro da dire e suggerire con quel filo di voce rotta dall’ennesima tragedia: giù le mani dai Rom e dai romani!
Quando la rabbia monta, il degrado cittadino dilaga, la povertà aumenta, vuol dire che è arrivato il tempo d’infilarsi le scarpe e di uscire oltre lo steccato dei luoghi comuni, del pensiero sicuro e delle dichiarazioni a effetto per vedere cosa sta realmente succedendo. E se lo steccato si è allargato, le persone si sono perse di vista e le azioni stentano a prendere consistenza occorre allora, a tutti i costi, ristabilire un dialogo sociale tra tutte le parti coinvolte. Lo chiedono i romani che attendono dagli amministratori locali una parola di conforto ma soprattutto un impegno ad agire per vincere quel senso di marginalità e abbandono. Lo chiedono i Rom e tutti i disperati della strada che sperano in un futuro migliore. Lo chiedono gli stranieri che popolano le nostre città. Una di loro, era filippina. Aveva 44 ed è morta falciata da una macchina. È lei oggi il ponte gettato sugli steccati ideologici. È lei ad aver pagato con la vita la mancanza di politiche sociali e integrative. Non c’è bianco e nero. Straniero o italiano. Siamo tutti esseri umani. Tutti con lo stesso diritto di credere che un Paese migliore di questo sia possibile.

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