Sembra inarrestabile in Europa quella transizione culturale e antropologica che, promuovendo i diritti individuali, apre progressivamente il matrimonio alle coppie dello stesso sesso finendo per indebolire l’identità dell’istituto che per secoli ha costituito l’architrave della famiglia e per provocare un sottile, sotterraneo ma sostanziale terremoto nel sentire sociale e civile. E quando si dice famiglia si dice quella cellula base della società, fondata su un’unione stabile tra uomo e donna, che racchiude nel suo nucleo le potenzialità per uno sviluppo robusto e una crescita armoniosa di tutto il corpo sociale, insomma ciò che i nostri Costituenti hanno a suo tempo definito “naturale” riconoscendolo come evidenza del reale.
Tra matrimonio e unioni civili. Con il referendum costituzionale dello scorso 22 maggio, l’Irlanda è diventata il 14esimo Paese europeo ad aprire ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, compiendo un passo avanti rispetto al riconoscimento e alla regolamentazione delle convivenze o ai registri delle unioni civili che da anni condivideva con altri 19 Stati. Oggi Olanda, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Portogallo, Islanda, Danimarca, Francia, Regno Unito, Finlandia, Lussemburgo, Slovenia, e da una settimana l’Irlanda, offrono infatti alle coppie eterosessuali e omosessuali la doppia opzione: unione civile o matrimonio. Germania, Austria, Croazia, Malta, Svizzera e Ungheria non riconoscono invece il matrimonio tra persone omosessuali ma hanno legalizzato le unioni civili.
Il “caso” Irlanda. L’Irlanda costituisce tuttavia un caso a sé: nell’opinione corrente il riconoscimento e la legalizzazione del matrimonio gay vengono interpretati non solo come concessione del diritto alle nozze per le persone dello stesso sesso, ma anche come premessa per il via libera ad altri diritti quali adozione, fecondazione assistita, utero in affitto. L’Irlanda ha bruciato, anzi invertito i tempi con l’approvazione, lo scorso 4 aprile, del “Children and Family Relationship Bill” che regolamenta l’adozione da parte dei genitori dello stesso sesso, approvato un mese e mezzo prima del referendum ma già annunciato a gennaio.
Il ddl Cirinnà. Intanto in Italia procede l’iter parlamentare del testo unificato recante la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il cosiddetto ddl Cirinnà, adottato nei giorni scorsi dalla Commissione Giustizia del Senato. Il testo – relatrice la senatrice Monica Cirinnà (Pd) – si compone di 19 articoli raggruppati in due titoli. Il primo ha come oggetto le unioni civili; il secondo le convivenze di fatto. In particolare, stabilisce che le persone omosessuali possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. I matrimoni contratti all’estero, e quelli in cui un coniuge abbia cambiato sesso, potranno essere registrati in Italia come unioni civili, per le quali si dovrà istituire uno specifico registro presso gli uffici dello stato civile di tutti i Comuni. Nel ddl sono riconosciuti alla coppia i diritti di assistenza sanitaria, carceraria, comunione o separazione dei beni, subentro nel contratto d’affitto, reversibilità della pensione, e i doveri previsti per le coppie sposate. Il testo esclude le adozioni di minori estranei alla coppia, ma prevede l’estensione della “stepchild adoption”, l’adozione del bambino che vive con la coppia, figlio biologico di uno dei due partner. Il ddl è stato adottato dalla II Commissione (Giustizia) del Senato come testo base per il prosieguo dei lavori. Presentati circa 4mila emendamenti. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi parla di un voto “tra luglio e settembre”, mentre la senatrice Cirinnà annuncia che il 3 giugno, quando il provvedimento tornerà in Commissione Giustizia, chiederà la calendarizzazione.
Il diritto di essere figlio. Il nodo più problematico, al di là di ogni altra considerazione, è proprio la “stepchild adoption”, già in vigore in Germania, mentre Olanda, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia, Islanda, Francia, Finlandia e Irlanda prevedono per le coppie gay la possibilità di adozione di un bambino “terzo”. Se approvata, la “stepchild adoption” potrebbe rivelarsi un’ulteriore “legittimazione” del diritto al figlio a tutti i costi, ma qui sono d’obbligo almeno due domande. Siamo sicuri che per un bambino sia un bene crescere con due genitori dello stesso sesso? In altre parole, non esiste anche per lui un diritto: quello di avere un padre e una madre nel senso “tradizionale” del termine con cui identificarsi/contrapporsi nella costruzione della sua identità? E ancora: oltre a incentivare il ricorso alla fecondazione eterologa per le coppie al femminile, non potrebbe, in caso di aspiranti genitori maschili, costituire una spinta verso quella nuova e disumana forma di schiavitù che è l’utero in affitto? Forse occorrerebbe anzitutto interrogarsi sul nostro concetto di libertà e di diritti, e chiedersi quale modello di persona e di società vogliamo veramente.
Slovenia. Lo scorso 4 marzo il Parlamento di Lubiana ha approvato un emendamento alla legge su matrimonio e famiglia, che equipara le nozze omosessuali a quelle eterosessuali.