“Siamo diventati rifugiati nella nostra stessa terra”. È questo oggi il Libano nelle parole di suor Lina Abou Naoum, di origine libanese, religiosa dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, responsabile dell’Istituto per tutto il Medio Oriente (Libano, Siria, Egitto, Giordania e Terra Santa). Al tradizionale carisma dell’educazione dei giovani, specie i più poveri, indicato da don Bosco, da tempo l’Istituto ha affiancato il servizio dell’accoglienza e dell’assistenza dei rifugiati. In Libano vivono oltre 1.5 milioni di rifugiati siriani arrivati nel Paese dall’inizio del conflitto. Numeri che raccontano una vera emergenza umanitaria che il Paese dei Cedri fatica a contenere.
Rifugiati siriani e iracheni. “Oltre ai campi palestinesi, presenti dal 1948, oggi in Libano si stima vi siano circa 2 milioni di siriani, e stanno arrivando iracheni. Ormai quasi il 50% della popolazione libanese, che si attesta sui 4,5 milioni di abitanti, è composto da rifugiati” spiega la salesiana che non nasconde come questa emergenza pesi molto “sulle condizioni economiche, umane, sociali, politiche e soprattutto di sicurezza interna” del Paese. Le risposte della Chiesa locale e dell’istituto non sono sufficienti. “Nelle nostre quattro scuole in Libano cerchiamo di assistere chi ha bisogno di cibo, vestiario, medicine. Offriamo istruzione ai bambini siriani che ospitiamo nei nostri istituti”. Una missione resa possibile solo grazie “all’aiuto che viene da fuori, da Governi e organismi come le Caritas di tanti Paesi”. In Libano, aggiunge, “la vera emergenza è il lavoro. Non c’è lavoro nemmeno per i libanesi che sono diventati rifugiati nella loro stessa terra”.
Nonostante tutto… I libanesi continuano “ad aprire le loro braccia e le loro case” racconta suor Naoum, perché “sono generosi. Siamo un Paese piccolo, con piccole infrastrutture, acqua ed energia commisurate al numero dei suoi abitanti che ora è raddoppiato. Inutile negarlo: questa grande massa di rifugiati assorbe le poche risorse che abbiamo, per questo dico che da soli non ce la possiamo fare”. La soluzione all’emergenza “può venire solo dalla Comunità internazionale. Il Libano non può essere abbandonato a se stesso – dice la religiosa – non sappiamo fino a quando resisteremo”. Ma c’è un altro fronte caldo che preoccupa i libanesi, ed è il confine nord-est con la Siria. “Da quel punto formazioni dell’Isis e di altre sigle dell’estremismo islamico cercano di penetrare in Libano e di organizzare cellule terroristiche. Non sappiamo se tra i tanti rifugiati ci siano anche estremisti pronti a colpire”. La paura esiste per questo, dice la religiosa, “ampi strati della popolazione libanese sostiene coloro che lottano contro lo Stato Islamico. Tra questi anche il partito di Dio, Hezbollah”.
I rischi del conflitto siriano. Paura di essere risucchiati nel gorgo del conflitto siriano ma anche di perdere quella grande tradizione di tolleranza e di convivenza tra etnie e fedi che ha fatto grande il Libano. “Sono fiera di essere libanese – afferma suor Naoum – il mio Paese è un mosaico armonico di confessioni. Ci sono tanti cristiani e musulmani che lavorano insieme per il bene e la pace. Sono certa che il Libano non cadrà mai, nonostante le difficoltà politiche – non abbiamo ancora un presidente – e le guerre civili che si sono susseguite. La gente sa che la guerra non è la soluzione ai problemi. Se dipendesse da loro i libanesi sarebbero in pace con tutti, Israele in primis. Il Libano vuole continuare ad essere un messaggio di pluralità per tutto il Medio Oriente. È una sfida da vincere con l’aiuto di tutti, anche dei cristiani”. Che però emigrano. “Se il Libano, come anche il Medio Oriente, – afferma preoccupata la religiosa – si dovesse svuotare dei cristiani sarebbe una catastrofe per la Cristianità e un danno grave per i musulmani”. I più esposti al rischio ‘esodo’ sono i giovani, primi destinatari della missione salesiana. “I giovani qui sono delusi. Con i rifugiati trovare lavoro è difficile. Tuttavia reagiscono al presente e noi come Chiesa li invitiamo a restare. Se la mia terra ha bisogno di me la devo aiutare”. Un Libano privo di cristiani potrebbe cadere preda di rinascenti divisioni politiche e religiose. La ricetta della salesiana per fronteggiarle è un mix di “solidarietà, dialogo e ricerca del bene comune. Il dialogo con i musulmani è vitale. I musulmani non sono tutti fanatici, la maggioranza è fatta di gente rispettosa. L’integralismo si combatte dialogando” e controllando quelle moschee “dove leader fanatici inculcano ai giovani idee che nulla hanno a che vedere con il Corano. Conosco anche tante moschee dove ai giovani viene insegnato il dialogo e il rispetto. Tuttavia i capi religiosi vanno controllati per evitare che ognuno canti il proprio canto”.