di Emidio Mora con Valter Nespeca, Monica Giacomantonio, Francesco Rastelli, Romina Carlini
RIPATRANSONE – La pastorale familiare nella nostra Parrocchia Madonna di Fatima di Valtesino di Ripatransone si concretizza, già da diversi anni, con una serie di incontri tenuti a turno nelle case delle coppie partecipanti, costituitesi in due gruppi, Sant’Emidio e San Francesco, coadiuvate dalle Coppie Guida, rispettivamente Salvatore Mauro con Rosalba e Marco Mori con Anelide e con la guida e il supporto spirituale del nostro Parroco Don Luis.
Dopo l’approfondimento del Credo, tenuto due anni fa con gli incontri preparati dalle Coppie Guida, lo scorso anno abbiamo affrontato le catechesi sulla preghiera del Padre Nostro introducendo la novità di affidare a turno, alle varie coppie, la preparazione degli incontri, sviluppandone e approfondendone le tematiche.
Il percorso attualizzato in questo anno è stato basato sulla via della Croce di Gesù. Il sussidio utilizzato per la catechesi, oltre alla lettera pastorale del Vescovo sulla 1ª Lettera di San Paolo ai Corinzi, è “Sulla Via Del Crocefisso”. Il volume, edito dall’Ufficio Catechistico di Verona per adulti presenta alcuni testi di sequela e di passione del Vangelo di Marco (a partire dal capitolo 8), per invitare il credente a fare proprio il cammino di Gesù fino alla croce e a contemplare nel crocifisso trafitto il volto del Figlio di Dio.
La catechesi pastorale ha chiuso questo anno con l’incontro tenuto il 28 maggio 2015 presso il Salone Parrocchiale Don Ubaldo Grossi, alla presenza del nostro Vescovo S.E. Carlo Bresciani che, invitato dalle famiglie stesse in una precedente visita in Parrocchia, ha condiviso con loro questa esperienza confermando il percorso di fede che si sta compiendo.
È stato uno degli incontri più appassionanti dove, affrontando il tema della morte, si è toccato un punto che quotidianamente sconvolge la nostra vita. La catechesi, illustrata dalle coppie Valter / Monica e Francesco / Romina ha approfondito la difficoltà da parte dell’uomo di riconoscere Cristo negli altri, nella vita quotidiana e la difficoltà di testimoniarlo soprattutto in quei momenti attraversati da situazioni drammatiche che mettono in discussione il nostro essere cristiani: situazioni per le quali si vorrebbe una risposta pronta e certa sui “perché” che, numerosi, si delineano.
Vari e sentiti gli interventi che si sono susseguiti, magistralmente moderati dal nostro parroco Don Luis. Particolarmente belle e toccanti le parole del Vescovo Carlo che hanno chiuso l’incontro: “Cristo inchiodato sulla croce; una croce che ci fa paura, che si presenta inaspettatamente nella nostra vita quotidiana; una croce che terremmo lontano da noi nei limiti del possibile. Anche Gesù, nella sua condizione umana ha chiesto al Padre di allontanarla da lui, se fosse stato possibile. Ma la Croce è il mezzo attraverso il quale Egli si rivela nella nostra vita e ci rivela il Suo amore per noi.
Dalla Croce Dio ci dimostra che sa amare ciò che non cambia: noi, la nostra vita di infedeltà, di ribellione, di indecisioni, di dubbi e di scelte sbagliate, aspettando, come la figura del Padre Misericordioso, che il cambiamento provenga dal nostro intimo, senza forzare la nostra volontà. La certezza che Dio ci ama e sa restare nell’amore nonostante l’uomo sia peccatore.
La Croce di Cristo può portare a due stati d’animo contrapposti: la ribellione (è la morte che si trasforma in terrore e solitudine) e l’amore (la rinascita e l’apertura ad una nuova vita). La morte e l’amore legati indissolubilmente fra loro: tanto più sappiamo morire a noi stessi, tanto più riusciamo ad aprirci e ad accettare agli altri.
Bisogna allargare il concetto di morte per capire la vita: sappiamo vivere se riusciamo a morire. Sappiamo scegliere se riusciamo a morire. Amare significa morire a se stessi per l’altro. E’ l’unico modo che abbiamo per sconfiggere il male.”
Alla fine della serata è seguito un gradevole momento conviviale.
Ultima tappa di questo percorso sarà un incontro tra i due gruppi per una cena perché, come dice sempre Don Luis, e come ormai ha sicuramente imparato il nostro Vescovo, “a Valtesino alla fine ci stà sempre lu magnà”.
Di seguito si riportano due delle relazioni che sono state esposte nel corso dell’incontro dalle coppie che erano incaricate di guidarlo.
1a Relazione – DIO SI È FATTO UOMO MA NON È BASTATO, IL MONDO NON LO HA RICONOSCIUTO
Dio si è fatto uomo ma non è bastato, il mondo non lo ha riconosciuto. Ha camminato sulla “VIA DEL CROCIFISSO” come dice il libretto, ma non è stato riconosciuto. Ha chiamato i discepoli, ha anticipato già in vita che sarebbe andato incontro alla croce e che chi lo avrebbe voluto seguire doveva “prendersi la propria croce”, ma non è stato capito. È finito in croce, e sulla croce sta a braccia aperte, ancora in segno di accoglienza come a dare un ultimo messaggio di salvezza per tutti quelli che anche in fondo alla vita hanno la forza di convertirsi e di credere nel perdono e nella misericordia. Giuda non ha creduto al perdono, ma il ladrone sì ed è stato accolto il giorno stesso in paradiso. Nella croce riconosciamo Gesù nel suo dolore fisico (a cui non si è voluto sottrarre), l’obbedienza e la completa fiducia nel Padre e le braccia aperte
Quanto è difficile accettare il messaggio di Gesù? Testimoniare con i fatti e non solo a parole (come dice Papa Francesco) è veramente difficile. La nostra è una religione “perdente”: “Beati i poveri, i miti, quelli che piangono, i perseguitati, gli operatori di pace…” E ancora: “Ama chi ti odia, prega per i tuoi nemici…”.
Come si può accettare un messaggio del genere? Come lo si mette in pratica? È sicuramente più facile abbandonare e condannare Gesù che riconoscerlo e salvarlo. Forse sbaglio ma Gesù non è morto per scelta ma è stato condannato a morte. Poteva essere salvato dal Sinedrio, da Pilato, dal popolo ma nessuno, per un motivo o per un altro, lo ha fatto. Chi per paura, chi per invidia, chi per convenienza. Nessuno ha scelto di andare contro – corrente e di prendere le difese di una persona sola, di un debole, di un “ultimo”.
È tutto come oggi, non è cambiato niente. La folla di allora aizzata da pochi grida “crocifiggilo” ma poteva anche salvarlo al posto di Barabba. Magari lo voleva anche perché era la stessa folla che lo aveva osannato pochi giorni prima all’ingresso a Gerusalemme, ma di fronte a chi urlava, forse per paura, non ha fatto niente. Non si ha il coraggio di isolare il male. Pilato lo vuole salvare, ma anche lui alla fine preferisce il silenzio e asseconda la massa. Il silenzio condanna, l’indifferenza condanna, il girarsi dall’altra parte della strada e far finta di niente, di non vedere, condanna.
Ieri con Gesù… Oggi con i cristiani nel mondo perseguitati ed uccisi, ma anche più semplicemente nelle forme di protesta pacifica che diventano motivo e pretesto di devastazione per colpa di pochi che invece di essere isolati e respinti come minoranza riescono invece a manipolare la massa e ad usare la protesta per distruggere.
Sì, quello di Gesù è un messaggio di amore e di pace. Lui stesso ha rimproverato chi con una spada cercava di difenderlo mentre veniva catturato. Ci ha detto di pregare per i nemici perché pregare per i propri amici non ci da merito. Ma fino a che punto? A che prezzo? È sicuramente giusto accogliere i bisognosi, ma dove finisce per un cristiano accettare l’altro ed evitare che l’altro mi uccida in nome di Dio?
Incontrare e riconoscere Gesù abbiamo detto è difficile. Lo vediamo crocifisso, ma non è lì che lo dobbiamo cercare. “Non dovete cercare tra i morti colui che è vivo…” ci dice l’angelo nel sepolcro. Gesù è vivo e risorto e ci chiede di seguirlo. Ma come lo riconosciamo? Dove lo incontriamo? La risposta più semplice è in chi soffre e nei bisognosi. Ma quando stiamo bene è difficile capire la sofferenza, è difficile accorgersi di chi ha bisogno. E poi siamo noi che incontriamo Gesù o è Lui che sceglie di incontrare noi?
È lui che sceglie i discepoli, è lui che ci dice “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi…”. È Lui che dice a Zaccheo “Scendi che oggi voglio venire a casa tua…” nonostante Zaccheo fosse salito su un albero e avesse fatto di tutto per vederlo. Ma se Gesù non mi chiama, se non decide Lui, io posso incontrarlo lo stesso? E poi, se anche lo incontrassi, sarei in grado di riconoscerlo? I discepoli quando da risorto appare nel cenacolo dove erano rinchiusi hanno paura di vedere un fantasma, quando cammina con i discepoli di Emmaus tra la folla, non lo riconoscono subito ma solo quando in mezzo a loro spessa il pane. Magari qui oggi in messo a noi è più facile riconoscere e dare testimonianza, ma fuori di qui (parlo per me) è difficile portare un messaggio di amore nel lavoro, nello sport, nel vivere quotidiano…
Gesù ha predicato per anni e tanta gente lo seguiva, ma poi muore solo. Seguire da lontano, in maniera più o meno interessata è semplice, ma poi testimoniarlo con i fatti e vedere che questo messaggio ti porta alla croce scoraggia perché non si ha il coraggio di morire per amore.
Questa è la nostra vita: prima vengono i nostri impegni, i nostri problemi. Seguire Gesù comporta invece rinuncia e sacrifici e questo scoraggia, per questo viene dopo. Ma per fortuna Gesù non è come noi, non torna indietro, non fugge, non ci abbandona come facciamo noi con Lui. Lui è il buon pastore, lui conosce il gregge e dà la Sua vita per le pecore. Si preoccupa, lo difende e lo guida. Conosce le sue pecore ad una ad una: quindi siamo un gregge ma amati singolarmente. E soprattutto non amati con una amore di ritorno, ma amati a prescindere.
Amare solo e nella misura in cui si è ricambiati non è vero amore. La sfida è donarsi gratuitamente senza pretendere niente in cambio. È questa la più grande gratitudine. Un genitore si dona totalmente al proprio figlio, dà la sua vita per lui non perché si aspetta qualcosa, ma per il solo motivo che è suo figlio e quindi gli basta questo per amarlo. E che il messaggio di Gesù sia sempre e comunque rivolto all’amore non ci sono dubbi: lo ha ripetuto un’infinità di volte nel cenacolo durante l’ultima cena giusto poco prima di essere catturato e condannato a morte, quasi a voler lasciare un testamento e a voler dare un segno forte di contrapposizione tra il male che di lì a poco sembrerebbe aver vinto, ma che poi con la resurrezione viene spazzato via.
2a Relazione – LA MORTE DI GESÙ È IL COMPIMENTO DELLE PROMESSE DI DIO: ATTRAVERSO IL FIGLIO FARE UNA NUOVA ALLEANZA CON GLI UOMINI
In questo brano del Vangelo (Mc 15, 33 – 39) si riconosce l’umanità di Gesù. Marco in modo particolare ce lo descrive in tutta la sua tragicità. Proprio nelle parole “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” Marco sottolinea il tormento di Gesù che si sente abbandonato sulla croce però, nel contempo, questo grido si contrappone alle parole “Non ciò che voglio io ma ciò che vuoi tu” che è l’espressione della Sua massima fiducia e fede in un Dio che non lo abbandonerà mai. In Gesù che muore si realizza il Regno di Dio, il nuovo tempio che distrutto ne fa risorgere uno nuovo dopo 3 giorni. La morte di Gesù è il compimento delle promesse di Dio: attraverso il Figlio fare una nuova alleanza con gli uomini.
Secondo me è qui che si manifesta il massimo atto d’amore. La morte di Gesù è per noi cristiani un fatto difficile da accettare. Accettare che il figlio di Dio sia morto sulla croce, che non si sia sottratto alla sua passione ma che, con profonda fiducia nel Padre, abbia accettato di morire per la nostra salvezza. Ma se Gesù fatto uomo non avesse condiviso tutte le difficoltà della vita umana, compresa la morte, allora la nostra fede non avrebbe avuto senso. Se avessi avuto la testimonianza di un Dio che si fa uomo ma che poi non muore, allora non avremmo capito fino in fondo il messaggio di Dio, che è sostanzialmente un messaggio d’amore.
Una cosa è certa: Gesù doveva morire e con una morte violenta come quella della croce per togliere tutti i nostri alibi di fronte alla morte. Se non avesse sofferto avremmo sempre potuto dire che la sua esperienza non è stata terrena fino in fondo perché non aveva condiviso tutto l’essere umano. La morte è sicuramente la fine della vita terrena ma, a seconda di come la si affronta, a seconda di come ci si pone, può farti paura ed essere quindi motivo di condanna o di salvezza attraverso la resurrezione. A me personalmente la morte fa paura: fa paura il distacco da questa terra e dalle persone a cui voglio bene e sicuramente credo sia umanamente normale avere paura della morte.
Ma perché Dio avrebbe dovuto “scomodarsi” a mandare suo Figlio sulla terra e farlo soffrire? La risposta sta nelle parole “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna”. In questa frase è rinchiuso, secondo me, il motivo della vita terrena di Gesù.