C’era una volta – non si può che esordire così – l’Inter pigliatutto di Angelo Moratti, la cui squadra, coi vari Mazzola, Facchetti e Corso, vinceva tutto a metà anni ’60. Poi si dovette aspettare un altro Moratti, il figlio Massimo, per tornare in vetta all’Europa mezzo secolo dopo. Nel frattempo era stato il Milan di Silvio Berlusconi, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del nuovo millennio, a fare incetta di scudetti e trofei, con punti di riferimento del calibro di Franco Baresi e Ruud Gullit.
Ma, appunto, c’era una volta. Nel senso che la squadra nerazzurra nel frattempo è passata nelle mani dell’affarista Eric Thohir, indonesiano; mentre è notizia di queste ore che la società rossonera è stata rilevata al 48% dal finanziere tailandese Bee Taechaubol, per gli amici Mister B, che ha sganciato al nostrano Mister B quasi 500 milioni di euro.
E non solo Milano è terra di conquista per i Paperoni stranieri. Come già avvenuto per numerosi grandi club europei passati nelle mani di sceicchi arabi e magnati russi, la Roma ha chiuso l’era-Sensi per essere acquistata da alcuni imprenditori statunitensi, fra cui l’italo-americano James Pallotta; il Bologna è dell’avvocato americano Joe Tacopina; mentre per il Parma si è fatta avanti una cordata russo-cipriota. In passato persino la Juventus, tradizionalmente di proprietà della famiglia Agnelli, aveva ceduto il 7,5% delle quote nientemeno che al libico Gheddafi!
Così, fra stadi semivuoti, spese pazze per i calciatori e bilanci in profondo rosso (in barba al fair-play finanziario varato dall’Uefa nel 2009), i club italiani finiscono nel tritacarne della globalizzazione, delle partite di giro tra petrolieri e faccendieri, i quali giocano a Risiko sugli stessi campi di calcio e sulla testa di squadre che ebbero per paladini campioni del calibro di Meazza e Sivori, Boninsegna, Rivera, Van Basten, fino a Totti. Chissà se dovremo temere un domani un Asd Ventimiglia Calcio comprata da un noto produttore francese di Camembert, un Football Club Bari nelle solide mani di un agente di cambio di Tirana, o un Calcio Como nell’orbita di un produttore di cioccolato di Lugano… Possibile correre per tempo ai ripari?
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