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Rom, sono i Comuni l’anello debole nell’integrazione

Giovanna Pasqualin Traversa
Nell’immaginario collettivo del nostro Paese, la presenza dei rom viene percepita come molesta, parassitaria e ad alta pericolosità sociale. Pregiudizi e stereotipi che, dopo eventi gravissimi come l’incidente che lo scorso 27 maggio a Roma ha causato la morte di una donna e il ferimento di altre otto persone, si alimentano in un crescendo di odio e paure, cavalcato da chi suggerisce di ricorrere alle ruspe o da chi assicura che l’eventuale inserimento di famiglie rom nelle liste d’attesa per le case popolari (come ventilato il 3 giugno nella capitale) consentirebbe a questi ultimi di scavalcare centinaia di italiani in lista da anni. Scenari che fanno oltretutto pensare ad una presenza numericamente importante, ma non è così. Dei 12 milioni in Europa, di cui 6 nell’Ue, secondo il Consiglio d’Europa i rom presenti sul nostro territorio sono circa 180mila, lo 0,25% della popolazione totale. Di questi, solo il 3% è effettivamente nomade. Circa 40mila vivono nei campi. Il 50% ha la cittadinanza italiana e il 60% ha meno di 18 anni. Quindicimila minori sono apolidi o a rischio apolidia.
Cosa dice l’Europa. Inserendo l’inclusione dei rom tra le priorità dell’Unione europea per il 2020, nel 2011 la Commissione ha adottato la comunicazione “Un quadro dell’Unione europea per le strategie nazionali di integrazione dei rom fino al 2020” (Ce 173/2011) con la quale ha invitato i Paesi membri ad elaborare strategie nazionali con politiche e misure in quattro aree di intervento: istruzione, impiego, salute, alloggio. Ogni paese ha elaborato una strategia nazionale o una serie di misure integrate che sono state valutate dalla Commissione stessa in una comunicazione del 2012 (Strategie nazionali di integrazione dei rom: un primo passo nell’attuazione del Quadro dell’Ue). Previste, da parte dell’Ue, relazioni di valutazione annuali fino al 2020. Nel dicembre 2013 il Consiglio europeo ha adottato la raccomandazione “Misure efficaci per l’integrazione dei rom negli Stati membri”.
Che cosa accade in Italia. A seguito della comunicazione europea 173/2011, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) ha redatto una “Strategia nazionale 2012-2020 d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti”, approvata dal Consiglio dei ministri il 24 febbraio 2012. Il Piano prevede, fra l’altro, l’attivazione di “Piani locali per l’inclusione sociale delle comunità”; la promozione di un sistema permanente di centri territoriali contro le discriminazioni; l’abbattimento degli stereotipi con campagne di informazione; l’elaborazione di un “modello di partecipazione delle comunità ai processi decisionali nazionali e locali con il coinvolgimento degli attori istituzionali e delle principali associazioni”. Un focus particolare è dedicato alle iniziative per accrescere le opportunità educative, favorendo l’aumento degli iscritti a scuola, la frequenza e la piena istruzione. Ampio spazio viene dato alla promozione della formazione professionale e a percorsi di inserimento lavorativi specifici per donne e giovani under 35. Analoga attenzione è rivolta all’accesso ai servizi sociali e sanitari sul territorio e alla prevenzione, privilegiando donne, bambini, anziani e disabili. In materia di alloggio la Strategia chiede di superare definitivamente le “logiche emergenziali” e dei “grandi insediamenti monoetnici”, e invita a favorire la cooperazione tra le istituzioni.
La realtà del territorio. Tutto bene sulla carta. Quello che sembra non funzionare è il terzo anello della catena, il passaggio, anzi l’applicazione del quadro nazionale sul territorio, giacché le politiche sociali sono di competenza degli enti locali. A febbraio 2015 risultano attivi solo 10 Tavoli regionali sui 20 previsti dalla Strategia (Umbria, Toscana, Emilia-Romagna, Molise, Liguria, Marche, Piemonte, Calabria, Campania, Lazio). In 3 casi su 10 (Umbria, Liguria, Lazio) l’istituzione del tavolo non ha significato l’avvio di alcuna attività. Nonostante il crescente consenso sulla necessità di attuare politiche effettivamente inclusive e di superare definitivamente i “campi nomadi”, nel suo rapporto annuale 2014, l’associazione “21 luglio” riferisce di Comuni che continuano ad allestire campi o costruiscono alloggi per soli rom. Lo scorso 2 giugno, in una trasmissione televisiva il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha chiesto ai sindaci di intervenire e di “trovare soluzioni”, e il 3 giugno l’assessore alle politiche sociali del Comune di Roma ha annunciato un piano, mentre sono in corso sgomberi forzati. Una sfida possibile, l’integrazione dei rom, ma certamente un percorso lungo e complesso, nel quale non aiutano né la demagogia populista né il buonismo, e che forse si gioca in buona parte anche sull’educazione e la scolarizzazione dei giovani (il 60%), intesa anche come formazione alla cittadinanza. Nella convinzione che non esistono etnie più predisposte di altre a condotte devianti.
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