È stato un brutto risveglio per il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che dalle urne del 7 giugno si attendeva la maggioranza assoluta dei voti. Così non è stato.
Anzi. Il suo partito islamico Akp perde la maggioranza assoluta che aveva dal 2002 fermandosi a 258 seggi su 550, riportando un 40,80% (contro il 50 alle politiche del 2011). A conti fatti, in 4 anni l’Akp ha perso 3 milioni di voti e 71 seggi. Causa dell’insuccesso del “Sultano” è il partito Hdp, una sorta di “Podemos curdo”, guidato dal giovane Selahattin Demirtas che supera abbondantemente la proibitiva soglia di sbarramento del 10% con il 13% dei voti e 79 seggi. Una vittoria significativa anche alla luce dell’alta affluenza, 86,49%. Ispiratosi alle idee libertarie della rivolta del 2013 di Gezi Park, l’Hdp di Demirtas, è riuscito nell’intento di coagulare non solo il voto curdo ma anche quello della maggioranza dei circa tre milioni di giovani che domenica votavano per la prima volta alle politiche. Per quanto riguarda gli altri partiti in lizza, il Chp del socialdemocratico Kemal Kilicdaroglu ottiene il 25,05% e 132 seggi, i nazionalisti del Mhp di Devlet Bahceli il 16,36% e 81 deputati. Insieme i tre partiti di opposizione hanno 292 seggi su 550. Quello di ieri è stato un voto che in qualche maniera ha riconosciuto la presenza delle minoranze: dopo diversi anni di assenza, i cristiani tornano a sedere nel parlamento turco. Quattro gli eletti, tra cui la capolista del partito socialdemocratico di opposizione Chp la cristiana armena Selina Dogan. Gli altri sono la giornalista Markar Esayan con il partito Akp del presidente Erdogan e Garo Paylan nella lista di Demirtas. Con l’Hdp eletto anche l’avvocato cristiano siriano Erol Dyra. Nel parlamento di Ankara entrano poi due rappresentanti della minoranza yazidi, vittima di atrocità da parte dei terroristi jihadisti dell’Isis di recente in Iraq. Feleknas Uca e Ali Atalan sono stati eletti sulle liste dell’Hdp a Diyarbakir e a Batman. Alto il numero delle donne elette ben 96, 19 in più del parlamento uscente. Un record. Record anche il tonfo della Borsa di Istanbul che in apertura ha fatto segnare un meno 8,2%. L’instabilità politica fa paura ai mercati che aspettano, a questo punto le mosse del presidente Erdogan che in una dichiarazione ha ammesso che nessun partito è in grado di governare da solo la Turchia.
Reazioni cattoliche. L’esito delle urne non sorprende più di tanto monsignor Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne e già presidente dei vescovi turchi. “Prima o poi un qualcosa del genere doveva accadere – dichiara – anche perché i curdi sono sparsi in tutta la Turchia, ma nel silenzio e nella rassegnazione. Ora hanno trovato un leader moderato intorno al quale riunirsi, un leader che guarda alla sostanza e che ha detto al suo popolo di gridare di meno e di lavorare di più. Farsi compatire non paga, proponendo e cercando accordi e dialogo anche in chiave politica”. Questa vittoria, secondo l’arcivescovo, “potrebbe facilitare anche un’intesa per risolvere la questione curda. Il Kurdistan è solo una piccola area ma ricca di persone coraggiose. Che i curdi abbiano una rappresentanza nel nuovo parlamento farà bene alla Turchia che potrebbe pacificarsi”. “La Turchia – dice convinto il presule – è un grande Paese che non ha bisogno di guerreggiare con i piccoli vicini. Sarebbe ancora più grande se crescesse nelle scuole, nel rispetto degli altri, dei diversi, degli ultimi. L’auspicio è che adesso si possa rafforzare il cammino democratico interno e anche la riconciliazione, con conseguenze positive in tutta l’area circostante”. Una battuta di arresto anche per l’islamismo crescente nel Paese? “Può darsi che sia così, ma deve essere lo stesso anche per le altre componenti del Paese, i curdi e anche gli armeni. Si può convivere in serenità in Turchia”. Dello stesso avviso anche monsignor Louis Pelatre, vicario apostolico di Istanbul, per il quale “l’esito di queste elezioni dimostra che in Turchia qualcosa sta cambiando. Ma non aspettiamoci mutamenti veloci”. Questo voto, aggiunge, “favorirà indubbiamente il processo democratico. Vedremo come il presidente Erdogan accoglierà questa nuova realtà”. Ci sono 45 giorni per dare un governo alla Turchia. Due le possibilità: o un esecutivo di coalizione o uno di minoranza. Alla scadenza del termine, il 17 luglio, che coincide con la fine del Ramadan quindi con la festa di Eid al Fitr, se non si sarà trovato un accordo, il presidente dovrà, per Costituzione, convocare elezioni anticipate. “Ho fiducia nel popolo turco dotato di molto buon senso” conclude il presule anche lui convinto, come tanti, che “il voto di ieri ha fatto proprie anche le istanze delle proteste di due anni fa a Gezi park”.