AstroSamantha è la donna del momento, anche se extraterrestre. E la cosa sorprendente è che Samantha Cristoforetti lo sia diventata senza sgomitare per un posto al sole qui sulla Terra, ma puntando diritta alle stelle. La nostra cosmonauta, attesa al rientro in questi giorni, colleziona record come i bambini le figurine: è l’astronauta donna con più giorni di permanenza nello spazio (198 giorni a oggi), è riuscita ad essere ospite televisiva prezzemolina pur stando in orbita, ha fatto commuovere un presidente della Repubblica in collegamento via satellite, si è conquistata un posto nella Treccani tra i neologismi e, in quasi sette mesi sulla stazione Iss, ha postato 2.636 foto (e video). Come se non bastasse la ragazza parla cinque lingue, ha due lauree ed è un capitano pilota dell’Aeronautica militare. Eppure, l’opinione più comune che si sente su di lei è sempre la stessa: è così “normale”. Un uso intelligente dei social network unito a una certa predisposizione dei media nel raccontarla (è persino finita a fumetti su Topolino, segnale inequivocabile di popolarità) hanno contribuito a renderla una di famiglia, a normalizzare l’eccezionalità di un’eccellenza.
Ormai tutti sanno chi è l’astronauta sorridente che, tra parentesi, non può che essere inconfondibilmente italiana: per prima cosa una volta arrivata a destinazione ha salutato la mamma, cucina pur in assenza di gravità, legge Gianni Rodari e ogni giorno fotografa l’Italia da lassù e posta l’istantanea con la buonanotte, come fosse una cartolina di quelle di una volta. E non c’è Regione italiana o località turistica che non abbiano approfittato di questa straordinaria promozione turistica piovuta dall’empireo. La Samantha nazionale, cervello non tanto in fuga quanto fuori pianeta per un po’, è di esempio e ispirazione per molti, soprattutto per l’altra metà del cielo che oggi guarda in su a cercare un puntino luminoso semovente e legittimamente pensa che il famoso soffitto di cristallo non solo si può sfondare, ma addirittura superare di slancio. Mica per niente la missione di Samantha si chiama Futura: il domani al femminile. Bello, ambizioso e giusto, ma tutto questo ha un senso in questa parte del globo in cui bastano un tweet e un hashtag a farci sentire in orbita, facendoci dimenticare che in molti Paesi alle bambine non è permesso nemmeno di frequentare la scuola, figuriamoci di immaginarsi astronauti.
Per vedere il domani con altri occhi si ha bisogno di un modello, di qualcuno cui guardare, di un’ambizione. Nei tempi passati bastava un romanzo ben scritto a farci desiderare di girare il mondo, diventare scrittrici, conquistare il centro della terra. E non importa se spesso il protagonista era un uomo: era l’idea che trascinava l’immaginazione e trasformava un prato nella prateria, quattro alberi in foresta e un foglio bianco in un giornale o in una tela. Fantasticare era realizzare. Oggi la televisione e internet rendono tutto ancora più facile, ancora più vicino, ancora più a portata di sogno. Ma occorre poterlo vedere. Per pensarsi astronaute bisognerebbe poter sapere che c’è una donna che vola altissimo e che non ha paura di farlo ma, soprattutto, a cui è stata data la possibilità di farlo.
L’istruzione, dice l’Unicef, è un “salvavita” per le donne: è l’investimento più potente che una nazione possa fare, perché accelera la lotta contro la povertà, le malattie, il sottosviluppo. Le bambine senza scuola sono bambine senza infanzia e senza futuro, a cui è vietato imparare e sapere, conoscere e capire. Subiscono una discriminazione continua che le condanna all’irrilevanza. Senza istruzione non c’è possibilità di riscatto, di poter cambiare la propria condizione, di credere che si possa anche volare e non solo con la fantasia. AstroSamantha ha vinto una bella sfida, dimostrando che le donne abitano lo spazio con naturalezza e determinazione. Vorremmo potesse essere così anche per tutte le altre: quelle che abitano la Terra e non sanno di farne parte.
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