Gli edifici pubblici rivestiti di nastri e addobbi. Festoni sulle strade principali piene di miliziani. Ma anche moschee fatte saltare in aria, donne costrette a coprirsi completamente, scuole vuote e quartieri cristiani deserti. Così, ad un anno esatto dall’occupazione dell’Is, si presenta Mosul, la seconda città irachena, oggi nella morsa del califfo Abu Bakr al Baghdadi. La sua caduta rappresenta uno dei momenti focali dell’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e in Siria, e ha portato la comunità internazionale a reagire avviando, sotto l’egida Usa, bombardamenti nei territori occupati.
Sono di ieri le immagini, riprese segretamente nel corso del 2014, clandestinamente fatte uscire dalla città e quindi trasmesse dalla Bbc, in cui residenti locali parlano delle regole severissime imposte dall’Isis secondo un’interpretazione ferrea della Sharia, la legge islamica. Si apprende così che “la punizione minima è la fustigazione che può essere applicata anche se si viene sorpresi a fumare. Il furto è punito con l’amputazione di una mano, l’adulterio di un uomo gettandolo dall’alto di un edificio, di una donna con la lapidazione. Le esecuzioni avvengono in pubblico per intimidire la gente, che spesso è obbligata ad assistere”. Altre testimonianze riferiscono che “le donne possono uscire di casa solo se accompagnate da un familiare maschio e completamente coperte, compresi viso e mani”. E poi ancora arresti e torture, frustate con cavi elettrici. In un video si vedono moschee sciite e sunnite fatte saltare in aria, al grido di Allah Akbar (Dio è grande), solo perché mete di pellegrinaggi considerati “idolatri”. Terrore e violenza bloccano la città dove scarseggia il carburante e la ricostruzione stenta a partire. Per non parlare dell’inquinamento e del degrado che aumentano a vista d’occhio. Deserte sono le aule scolastiche. I genitori hanno ritirato i loro figli per evitare che subiscano l’indottrinamento dello Stato islamico. Ma i timori della popolazione di Mosul non si fermano allo Stato islamico. L’altra grande paura dei residenti è che se le milizie sciite dovessero arrivare a Mosul insieme alle truppe dell’esercito regolare di Baghdad, queste potrebbero lasciarsi andare a rappresaglie contro la popolazione sunnita come accaduto a Tikrit, strappata nei mesi scorsi all’Isis.
Non ha visto le immagini della Bbc, monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, ma subito avverte: “Non mi direbbero nulla di nuovo. Distruzione, violenza, terrore, persecuzione come mai fino ad oggi. È quello che stiamo vivendo ormai da anni e con lo Stato islamico la situazione è peggiorata e non parlo solo di Mosul. Quelli dell’Is sono dei veri barbari”. La mente del vescovo corre alla vicina Piana di Ninive, un tempo popolata di villaggi cristiani e “oggi ridotta a una landa desolata”. Mons. Warduni parla da uno dei villaggi a nord della Piana, “dove manca tutto, acqua, medicine, cibo, mezzi di trasporto”. “Sa qual è la nostra sofferenza più grande?”, domanda con voce ferma. “Non sapere dov’è la comunità internazionale, non capire perché si permette di distruggere una storia cristiana lunga duemila anni. Il mondo se ne infischia di questa storia e una parte di esso continua a vendere armi all’Is e alimentare la guerra diventando complici della nostra sciagura”. Le scuole chiuse di Mosul, le case dei cristiani marchiate con la “N” nera, famigerata “lettera scarlatta” con cui il Califfato marchia i “Nasrani”, ovvero i cristiani seguaci del Nazareno, l’indottrinamento violento, gli abusi, gli espropri, le torture e le esecuzioni sommarie, “chi avrebbe mai pensato che un giorno ci saremmo trovati in questa condizione?”, aggiunge mons. Warduni. “La cosa più grave è che non vediamo la luce in fondo al tunnel, il buio più pesto ci avvolge, ci stringe, ci impedisce di avanzare. Siamo circondati dalla disperazione, dalla paura. Siamo stanchi”. Nonostante ciò la Chiesa irachena, nelle sue diverse componenti continua il suo sforzo “di stare accanto ai fedeli rimasti grazie agli aiuti che altre Chiese e organismi di solidarietà ci recapitano. Li ringraziamo per questo. Purtroppo l’esodo dei cristiani è continuo, è un’emorragia che se continua così ci porterà alla morte. Non ci saranno più cristiani in Iraq. Tutto nell’indifferenza di molti della comunità internazionale. Questo ci fa molto male. L’unico rifugio vero per noi è confidare nella preghiera, nella certezza che Dio è al nostro fianco”.