Per la seconda volta nel giro di appena due anni, il Vaticano apre le porte al presidente russo Vladimir Putin in visita mercoledì 10 giugno in Italia per l’Expo. È durato 50 minuti il colloquio privato tra Papa Francesco e Putin durante i quali si è parlato del conflitto in Ucraina e delle situazioni in Medio Oriente. Alla fine, al tradizionale scambio di doni, il Papa ha regalato a Putin il consueto medaglione dell’artista Guido Veroi che rappresenta l’angelo della pace. È l’angelo – ha detto Francesco – “che vince tutte le guerre e parla di solidarietà tra i popoli”. Monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo dell’Arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, ha seguito con grande interesse dalla capitale russa l’incontro di Putin in Vaticano. E riguardo proprio alle parole del Papa sull’angelo della pace, commenta: “vorrei dire che questo rametto di ulivo che ci ricorda molto la fine del diluvio, vuole essere un auspicio di speranza perché si cammini verso la pace, perché ci sia una cessazione delle guerre. Anche in questo senso credo che l’incontro tra il papa e il presidente russo sia stato importante e riguardo non solo alla situazione ucraina, ma anche rispetto ad altri punti dove la guerra purtroppo non cessa. Soprattutto in Medio Oriente, dove il guardarsi da nemici sembra essere l’unica strada. Questo incontro è il segnale di intraprendere una direzione opposta. Sembra voler dire: guardiamoci in modo diverso, guardiamoci negli occhi”.
Che tipo di diplomazia vaticana emerge dall’incontro tra il Papa e Putin?
“Innanzitutto direi che è già il secondo incontro che avviene ad una distanza abbastanza breve di tempo, di due anni. È un dato significativo che a mio parere, dice due cose. La prima fa emergere l’importanza che questo Papa ha per la Russia. Mi sono personalmente domandato quale sia la natura di questa importanza. Penso che sia un’importanza innanzitutto spirituale, cioè la ricerca non tanto di un partner quanto di un soggetto con cui poter dialogare. Molto probabilmente la mia è un’interpretazione ardita ma non vedo una ricerca politica quanto la ricerca di un interlocutore”.
Dove e come ha fatto breccia Papa Francesco tanto da spingere il gigante russo a cercare in lui un interlocutore?
“Penso innanzitutto che il Papa creda fortemente in quello che dice e poi che la sua apertura non è uno sforzo che si limita a un interesse personale o particolare. C’è in questo Papa un reale interesse per l’uomo, soprattutto per l’uomo che vive nelle situazioni di oggi e cioè situazioni di guerra, di persecuzione, di non accoglienza, in situazioni di offesa dell’umanità dal più piccolo al più vecchio e a chi è abbandonato. Questo tocca i cuori dei russi e non ultimo anche il cuore di chi ha il potere”.
Lei diceva prima che l’incontro tra il Papa e Putin fa emergere due cose. Qual è la seconda?
“Ritengo che il Papa comprenda molto bene che certe situazioni possono essere risolte solo attraverso il dialogo e l’incontro. E questo emerge nel suo modo di intervenire, se guardiamo alla Terra Santa, alla Siria e anche all’America per la vicenda con Cuba. Secondo quanto abbiamo letto sulle agenzie, il Papa ha detto a Putin che occorre impegnarsi in un sincero e grande sforzo per realizzare la pace. E questo grande e generoso sforzo per la pace passa anche in Ucraina attraverso il dialogo e l’incontro. Se non c’è dialogo e incontro è molto più facile che le posizioni che magari sono di pregiudizio, si incancreniscano, si induriscano. Laddove invece teniamo aperto uno spazio di dialogo e incontro, anche se non abbiamo le stesse idee, sarà certamente più facile che si possa andare verso una soluzione”.
I cuori in realtà sembrano molto induriti. La questione Ucraina fa emergere la grossissima questione religiosa tra i greco-cattolici e il Patriarcato di Mosca. Come si può muovere la diplomazia vaticana in un contesto così complesso?
“E’ sempre molto difficile dare un giudizio su quello che c’è nel cuore dell’uomo. Certamente, almeno esteriormente, l’impressione è che ci sia una certa durezza, anche a livello religioso. Penso che nell’accenno che il Papa ha fatto alla fine del colloquio chiedendo al presidente di portare il suo saluto al Patriarca Kirill, ci sia tutto il senso della ‘diplomazia’ di questo Papa. Non faccio che ripetere quanto detto prima: anche in questo caso, l’invito all’incontro e al dialogo è la strada per superare difficoltà e pregiudizi e anche a livello religioso, occorre guardarsi negli occhi e magari scoprire con stupore che non siamo poi così diversi e nemmeno così nemici”.
Guardarsi negli occhi. Sembra che la questione ucraina allontani anni luce la possibilità di un incontro tra il Papa e il Patriarca. È così anche secondo lei?
“No. Devo dire no. Forse sono un po’ ingenuo ma non penso che la situazione ucraina di per sé allontani. Anzi, potrebbe essere una situazione che possa suggerire al Patriarca l’importanza di un incontro con il Papa. Per cui io personalmente non l’escludo. Non le saprei dire in quale forma ma non mi sentirei di dire che oggi la situazione è più difficile. È diversa ma non vedo in questa diversità un inesorabile allontanamento di questa possibilità”.
Si può sperare allora?
“Bisogna sperare, assolutamente”.