Di Giovanna Pasqualin Traversa
Sono le sette e un quarto del mattino e davanti alla basilica romana di sant’Eustachio, al rione Campo Marzio, c’è già una piccola folla coloratissima mentre il rettore, don Pietro Sigurani, con un foglio in mano fa l’appello degli “amici” che un’ora dopo partiranno con lui per Torino. Don Pietro ha un sorriso e una battuta per tutti. A Norma, dopo avere sbirciato la valigia, dice: “Ma ti porti tutta ‘sta roba per due giorni?”. Se è per questo, c’è anche chi si presenta con un guanciale ripiegato in due sotto il braccio. Per la seconda volta, a distanza di una settimana, Papa Francesco “invia” una delegazione di poveri e senza tetto della sua diocesi a “preparare la sua visita”, come dirà poco più tardi il suo elemosiniere, monsignor Konrad Krajewski, venuto a portare la benedizione e il saluto del Santo Padre. La settimana scorsa 50 persone senza dimora, assistite dalla parrocchia romana Santa Lucia a piazzale Clodio: oggi un gruppo di 64 pellegrini di ogni età, nazionalità, religione: “Una parte – scherza don Pietro – dei clienti del nostro ‘ristorante’”. Ogni giorno, dalle 12 alle 15, la basilica si trasforma infatti in un vero e proprio ristorante che offre ai suoi 150 “avventori” un pasto completo, dessert compreso.
Lo specchio della sofferenza. Molti, ci spiega don Pietro, hanno espresso il desiderio di fare un pellegrinaggio a Torino per vedere la Sindone. “Ho capito – dice – che la loro richiesta andava oltre il viaggio e la curiosità. La Sindone, per la loro sensibilità, rappresenta lo specchio delle donne e degli uomini martoriati dai tanti aspetti della sofferenza”. Così anche a loro Papa Francesco ha offerto il viaggio: approderanno questo pomeriggio all’Arsenale della pace nel capoluogo piemontese, accompagnati da don Pietro e da sette volontari. Domani, solennità del Sacro Cuore di Gesù, sfileranno davanti alla Sindone, portando il proprio cuore al cospetto dell’Amore più grande, ognuno con i propri sogni. “Non avrei mai immaginato di poter vedere la Sindone”, mi confida Norma, peruviana di 64 anni, dopo avere cercato nel borsellino 50 centesimi da prestare a un compagno di viaggio. Alcuni anni fa ha perduto un figlio ed era molto arrabbiata con Dio, ma poi, sussurra sottovoce, “piano piano mi sono riavvicinata e ho capito che lassù c’è Qualcuno che pensa a noi”. Alessandro Canale, 66 anni, si è documentato sul Telo che vuole andare a vedere “prima di morire”. Gli chiedo se sta male. “No – risponde -, ma nelle mie condizioni, non si sa mai”. Non sa invece di che cosa si tratti, ma non nasconde l’emozione e il senso di attesa, Nicola, quarantanovenne romeno. Gli altri parlano fra loro, scherzano, fumano, qualcuno ci chiede: “Ma se ci fate le foto poi ci pagate, vero?”.
La “carezza” del Papa. Alle otto meno un quarto don Pietro chiama tutti in chiesa per una preghiera, mentre arrivano mons. Krajewski e il vescovo ausiliare monsignor Matteo Zuppi. Ci sono cattolici, ortodossi, musulmani e, dice il rettore, “persone un po’ più lontane, in ricerca”; a tutti dedica un applauso e tutti fa unire nella recita del Padre nostro e dell’Ave Maria che, assicura, “vuole bene a tutti”. La parola all’elemosiniere del Papa, ed è una sorta di “mandato”: “Vi porto la benedizione e la preghiera del Santo Padre, perché lui sa che voi andate a preparare la sua visita, e vi porto anche una piccola carezza da parte sua. Pregate per lui e per il vostro vescovo Matteo”. Poi mons. Krajewski distribuisce a tutti una piccola busta chiusa contenente un’immagine del Pontefice, una benedizione e 30 euro per le piccole spese. Usciamo per raggiungere largo Argentina dove ad aspettarci c’è un pullman a due piani. È visibilmente soddisfatto Carlo, 57 anni, che sulla porta della chiesa confida: “Qui mi sento come in famiglia. Vengo a mangiare ma anche a dare una mano”. Padre Pietro, aggiunge con aria quasi complice, “ci ha comperato le sigarette e se ci comporteremo bene ci offrirà anche una birretta”. Già, perché il rettore, concludendo la preghiera ha raccomandato a tutti: “Cercate di andare d’accordo in questi due giorni”.
Più buoni sì, juventini no. Ultima tappa: la salita sul pullman. Mentre entrano, mons. Krajewski li saluta tutti, uno per uno, augurando buon viaggio. Padre Pietro va a recuperare quelli che indugiano fumando l’ultima sigaretta sul marciapiede. Mons. Zuppi ammonisce sorridendo: “Ci vediamo al vostro ritorno. Tornate più buoni ma, mi raccomando, non diventate juventini!”. Il pullman parte, dietro i finestrini volti e mani che salutano e richiamano l’attenzione battendo le nocche sul vetro. Si allontanano, ognuno con il suo carico di delusioni e di sogni.