La “generazione Telemaco” ha ancora bisogno della “generazione Ulisse”. La società dell’assenza dei padri – o nel migliore dei casi della loro latitanza, a volte smarrita o confusa – ha ancora bisogno dei suoi genitori, perché “non può permettersi il lusso di aspettare, per altri vent’anni, il ritorno del padre per dare un nuovo corso alla società”. La tesi di Antonio Sciortino, nel suo volume “Padri e figli” (Il Saggiatore), ha il sapore della denuncia politicamente appassionata di chi non si rassegna alla “vulgata” dei giovani “bamboccioni” o, a seconda delle versioni, “sfigati” per delineare i tratti distintivi dei nativi digitali. Il direttore di “Famiglia cristiana” punta il dito, invece, sulla mancata assunzione di responsabilità degli adulti, in particolare quelli di sesso maschile, nei confronti del già difficile destino dei loro figli, ipotecato dalla crisi e da una gestione spesso dissennata, almeno sotto il profilo della mancanza di lungimiranza, della cosa pubblica.
“In Italia i giovani hanno una sola grave colpa, quella di essere pochi e di non avere nessuno che li difenda davvero”, il “J’accuse” dell’autore, secondo il quale nel Paese con il minore tasso di natalità del mondo “occorre una ribellione della coscienza pubblica, in nome della nostra responsabilità più grande, quella di padri e di madri. Per l’Italia, novella Itaca, devastata da gaudenti Proci, ignari delle sofferenze e delle reali necessità dei cittadini, il ritorno di Ulisse sarà un freno – così si spera – alle loro sterili ed egoistiche ambizioni di possesso e di potere”.
Nella società del “clicco dunque sono”, i padri hanno abdicato al loro ruolo di educatori – osserva Sciortino sulla scorta delle ultime catechesi di Papa Francesco – e così alla figura del “padre padrone” se ne sono sostituite due non meno dannose: il padre assente e il padre amico. Telemaco non è vittima del padre, è il “giusto erede”, è l’icona del figlio che ha bisogno del padre. La domanda di padre che oggi attraversa il disagio dei giovani non è, allora, quella di un “padre-padrone”, ma di un “padre-testimone”. In un contesto, però, profondamente mutato rispetto al passato: la socializzazione in rete, infatti, “non è verticale, da una generazione all’altra, o dall’alto verso il basso, ma è largamente orizzontale”.
Nonostante i cattivi modelli che una società scadente come la nostra fa passare o impone, uno scrittore e insegnante come Eraldo Affinati “non si scoraggia e resta fiducioso”, osserva Sciortino prendendo in prestito le sue parole: “Mi accorgo che, nello squallore, sono i ragazzi a cercare, spesso inconsciamente, modelli alternativi a quelli che vedono affermarsi. Hanno bisogno di avere davanti persone che fanno scelte e che le vivono fino in fondo. Diffidano di chi parla senza aver vissuto sulla propria pelle. Ad esempio, un insegnante che arriva puntuale, che mostra dedizione al lavoro, incide di più con quello che fa che con le cose che dice”.