Dimmi come mangi e ti dirò chi sei. Ebrei, cristiani e musulmani a tavola. Un mosaico colorato e profumato di tradizioni culinarie, ricette e precetti che sono lo specchio di una millenaria storia di conquiste e di sacrifici. Ma soprattutto il segno più identificativo di un rapporto di gratitudine e di rispetto che i popoli della Terra Santa hanno maturato verso Dio. “Buono e giusto. Il cibo secondo Ebraismo, Cristianesimo e Islam” (Edizioni Terra Santa) è un libro sfiziosissimo che ripercorre tutti gli stralci relativi al cibo disseminati lungo i testi sacri. Ne è uscito uno spaccato “culinario” biblico-teologico che è stato presentato dai suoi tre co-autori (Claudia Milani, Paolo Branca e Claudio Paravati) anche all’Expo di Milano.
Dalla creazione di Adamo ed Eva in avanti, l’alimentazione ha svolto un ruolo centrale nella storia umana. E la prima indicazione che si rivela alla lettura del testo biblico è che alle origini, la possibilità data da Dio all’uomo di sfamarsi è ampia ma vieta di nutrirsi degli animali. Dunque, al momento della creazione, l’uomo è vegetariano. Dopo il diluvio, Dio concede più possibilità alimentari forse perché si è reso conto che il vegetarianesimo era impraticabile in un contesto reso difficile dalla recente distruzione della terra. Si inserisce in questa mirabile storia di Alleanza tra l’uomo, la natura e Dio, la tradizione ebraica. Una storia solcata dalla provvidenza di Dio verso il popolo di Israele. La sfera alimentare – sottolinea Claudia Milani, autrice di questa parte del libro – è forse una di quelle più normate tra i 613 precetti previsti dalla religione ebraica. E se per i cibi di origine vegetale (frutta, verdura, cibi derivati dai cereali) non vi sono divieti, le cose si complicano per i cibi di origine animale. In linea di massima si può dire che tra i quadrupedi sono kasher (cioè leciti) tutti quelli che hanno l’unghia divisa in due e ruminano. Sono vietati gli uccelli, i volatili come lo struzzo, il cigno o il gabbiano e tra i pesci sono consentiti solo quelli che hanno pinne e squame e quindi sono vietati molluschi, frutti di mare e crostacei. Dal momento poi che moltissimi insetti non sono kosher, è indispensabile lavorare con particolare attenzione l’insalata, frutta e verdura. I precetti festivi della tradizione ebraica rimandano ad una serie di tradizioni culinarie che sono legate alla narrazione della storia di Israele lasciando quindi percepire la ricchezza di una tradizione religiosa fortemente concreta e ancorata alla Memoria. Un esempio può essere tratto dalla festa di Pesach, la Pasqua ebraica che commemora l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto. È tradizione di alcune regioni italiane come il Piemonte mangiare un piatto che si chiama “ruota del faraone”: è composto di tagliatelle all’uovo bollite in brodo di cappone (raffigurano le onde del Mar Rosso); di uvette (i carri del faraone che perdono le ruote); i pinoli e pezzi di salame (i cavalli bianchi montati dagli egiziani che affogano nel mare).
Acqua, olio, vino. E la cultura mediterranea dell’Islam. “Nonostante la diffusa percezione della dottrina islamica come di un sistema zeppo di proibizioni – spiega Paolo Branca – il principio regolatore di base, anche con cibi e bevande, è che tutto è lecito salvo un insieme limitato di casi”. E se regole e aneddoti possono apparire formali, a ben guardare indicano spesso un principio di umiltà e un invito alla moderazione. “L’inviato di Dio…disse: ‘il cibo di due è sufficiente per tre e il cibo di tre è sufficiente per quattro”. L’ingordigia è dunque disapprovata. “Ho sentito il Profeta… che diceva: ‘il credente mangia con un intestino solo e il miscredente mangia con sette intestini”. Nemmeno questioni di più banale convenienza vengono trascurate: “Cos’hai sentito dal Profeta…in merito all’aglio e alla cipolla? Chi ne mangia – disse – non si avvicini alla moschea”.
Dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci fino all’ultima cena. Nel secondo Testamento che va dai Vangeli alle lettere degli apostoli, c’è tutto un percorso articolato sul cibo. Al centro appare la figura di Gesù che attorno al banchetto ha centrato i momenti più importanti della sua vita, come l’ultima Cena in cui si vivono i due momenti essenziali – la morte e la resurrezione di Gesù – per la vita dei cristiani. Claudio Paravati – autore di questa parte del saggio – sottolinea quanto siano state disattese le lezioni del testo evangelico: oggi la tavola è diventata un fast-food nella deriva di un tempo scandito sempre più dal “mordi e fuggi” mentre la moltiplicazione dei pani e dei pesci si scontra con una fame mondiale ed uno spreco di cibo che stentano a fermarsi. Fino a spingersi all’ultimo grande paradosso della comunione dei cristiani che nel corso della storia si è spezzata proprio attorno alla mensa eucaristica, la più grande sfida del cammino delle Chiese verso la loro unità. Ebrei, cristiani e musulmani e il loro rapporto con la tavola. Suggestioni che lanciano indicazioni valide ancora oggi per un cambio di prospettiva verso la propria fede, il mondo e la cura del creato.