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Dal Corno d’Africa, un appello all’accoglienza

dall’inviata Sir in Tunisia – Dal Corno d’Africa, zona di partenza dei profughi, un invito ai Paesi sviluppati perché applichino “una giusta politica di accoglienza, con più coordinamento e condivisione tra i vari attori”. Lo ha rivolto oggi pomeriggio monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, intervenendo a Tunisi al Migramed meeting promosso da Caritas italiana con 16 Caritas europee e del Mediterraneo. Monsignor Bertin ha elencato le vie di fughe dai Paesi del Corno d’Africa (Somalia, Gibuti, Eritrea, Somalia, Etiopia). “Non si fugge solo verso l’Europa – ha precisato – ma anche verso il Sudafrica, via terra o via mare; dal Golfo di Aden verso Arabia Saudita, Emirati Arabi, Oman; la terza via è quella classica verso il Nord Africa attraverso la Libia”. Dall’Eritrea, ad esempio, ha detto monsignor Bertin, partono ogni mese 4.000 persone. Si stimano 321mila rifugiati e richiedenti asilo già fuori dal Paese. In Somalia, ha ricordato, “abbiamo oltre 1 milione di sfollati, e da qualche mese 12mila rifugiati dallo Yemen. A Gibuti vi sono 23mila richiedenti asilo e rifugiati. Ora abbiamo tra i 2.000 e i 3.000 rifugiati yemeniti, destinati a crescere a causa del conflitto. In Kenya vi sono 582mila rifugiati”. 

Perché fuggono dal Corno d’Africa? In Somalia, ad esempio, “a causa dell’instabilità – ha risposto. Da 24 anni non c’è più un’autorità centrale. Si sta cercando di far rinascere lo Stato ma i funzionari sono talmente fragili da non controllare nemmeno Mogadiscio. Con il crollo dello Stato si è tornati a forme di tribalismo. La guerra civile porta all’insicurezza, vi sono circa 900.000 rifugiati somali all’estero. Gli shabaab sono stati sconfitti dal punto di vista militare ma dal punto di vista economico sono diventati la mafia del luogo: tutti i commercianti devono pagare il pizzo”. In Eritrea, si sa, c’è un’oppressione dittatoriale. “Il Paese è veramente allo stremo – ha detto -. Il servizio militare si può prolungare per 15/20 anni. La mancanza delle libertà civili provoca questo esodo, soprattutto dei giovani”. Dall’Etiopia, nonostante lo sviluppo di Addis Abeba, fuggono dal resto del Paese perché manca il lavoro.