Il consenso informato dei genitori alla partecipazione dei figli ad attività e progetti scolastici rischia di divenire il nuovo campo di battaglia nella scuola italiana. Eppure, è “uno strumento con cui già adesso le famiglie possono esercitare positivamente con i docenti la propria responsabilità educativa secondo l’art. 30 della Costituzione”. Il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi spiega lo scopo del consenso informato, entrato nel dibattito parlamentare sulla riforma “La Buona Scuola” da oggi (15 giugno) in votazione in Commissione Istruzione del Senato.
La spinta delle organizzazioni familiari. Un emendamento al disegno di legge prevede proprio di inserire uno specifico art. 2-bis su questo tema come richiesto, durante le audizioni sul ddl, da diverse organizzazioni familiari. Tra cui Age, Agesc e Moige, membri del Fonagas, il Forum nazionale delle associazioni genitori della scuola attivo presso il Ministero dell’Istruzione. A preoccupare le famiglie le possibili interpretazioni di un emendamento votato in Commissione Cultura della Camera su proposta della delegata per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri Giovanna Martelli (Pd), che introduce nel nuovo piano triennale dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado “l’educazione alla parità di genere, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni” per informarvi e sensibilizzarvi “studenti, docenti e genitori”. Una prima risposta era stata data nella stessa Commissione di Montecitorio dall’approvazione di un ordine del giorno di Area Popolare che impegna il governo a garantire “il diritto dei genitori alle scelte educative” per le attività di sensibilizzazione previste dall’emendamento Martelli. “Se il Governo lo approva, non deve essere votato – nota Eugenia Roccella (Ap), l’estensore -. Inoltre, costituisce un precedente per il Senato”. Dove un emendamento a firma Maurizio Sacconi, Bruno Mancuso e Fabiola Anitori (Ap) ripropone, di fatto, il testo della proposta di legge Roccella sul consenso informato, redatta in collaborazione con le associazioni genitori in seguito alle prime applicazioni nelle scuole della cosiddetta Strategia Unar e che, da oltre un anno, giace alla Camera in attesa di essere calendarizzata.
I genitori devono essere adeguatamente informati. Un articolo specifico nella “Buona Scuola”, dunque, sul consenso informato scritto dei genitori alla partecipazione dei figli alle “attività integrative, facoltative e progettuali, di natura curricolare o extracurricolare, inserite nel piano dell’offerta formativa o non comprese in questo, proposte dalle scuole di ogni ordine e grado, incluse le scuole dell’infanzia, che riguardano direttamente o indirettamente la dimensione psichica, affettiva e spirituale, l’educazione all’affettività e alla sessualità, in generale, i temi eticamente sensibili”. I genitori devono essere “adeguatamente informati sui contenuti, sui soggetti promotori e sui soggetti attuatori dell’attività”. Per gli alunni privi del consenso la scuola deve “prevedere apposite attività sostitutive”, assicurando che non siano discriminati. “Le famiglie potrebbero, esercitando il consenso informato, avere il controllo sui contenuti e le modalità di insegnamento ai figli”, commenta il presidente del Forum delle famiglie Francesco Belletti. “Una richiesta forte anche delle 180mila firme della petizione online su una corretta educazione sessuale e all’affettività lanciata da Age, Agesc, Movimento per la vita, Pro Vita e Giuristi per la vita consegnate al Presidente della Repubblica Mattarella”, ricorda Fabrizio Azzolini, presidente dell’Age (Associazione italiana genitori). Del resto, il consenso informato è già una realtà nella scuola italiana. Come ricorda Toccafondi: “Anche perché l’art. 30 della Costituzione parla chiaro: è diritto e dovere dei genitori mantenere, educare e istruire i figli. Il consenso informato va in questa direzione: è un passaggio del patto di corresponsabilità educativa scuola-famiglia, uno strumento di conoscenza e approvazione dei genitori della formazione dei figli. È un fatto di buon senso e di ragionevolezza. La scuola non deve essere luogo di scontro ideologico”. Tuttavia, c’è chi è contrario. “Sarebbe una burocrazia inutile – commenta Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center. I genitori sono informati con il Pof, che è approvato dal consiglio d’istituto dove i genitori sono presenti: è un metodo democratico. Non diamo potere di veto ai genitori su temi come la prevenzione e il contrasto dell’omofobia e delle discriminazioni”.
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