Seguendo il metodo adottato nei precedenti volumi, l’autore mostra come il crocefisso sia stato raffigurato nel corso dei secoli nei modi più diversi, sotto l’influsso delle varie sensibilità religiose e teologiche. Il pregio di queste opere è quello di non essere dei semplici manuali di storia dell’arte, ma delle letture iconologiche, verrebbe quasi da dire delle meditazioni, delle opere d’arte proposte.
Infatti i vari capolavori degli artisti vengono analizzati non solo da un punto di vista estetico, ma da quello umano e religioso. Se pensiamo che essi sono in gran parte soggetti di arte sacra, cioè collocati negli spazi liturgici delle chiese per favorire il culto e la pietà, questa particolare lettura diventa indispensabile per comprendere fino in fondo il senso di tali opere.
L’autore spiega dunque come si sia passati dalla rappresentazione del Christus Triumphans dei primi secoli al Christus Patiens del XIII secolo: se all’inizio della storia del cristianesimo la croce è glorioso simbolo del Cristo e il Signore Gesù viene rappresentato sul patibolo come un sovrano sul suo trono, a partire dal XIII secolo, sotto l’influsso della spiritualità francescana, il Figlio di Dio viene raffigurato come dolente, come colui che in modo umano subisce il dramma della morte.
Alla luce di ciò possiamo comprendere anche alcuni dettagli dell’iconografia del crocifisso, come il particolare degli occhi: se in un primo momento il Cristo ha sempre gli occhi aperti, come segno della vittoria sulla morte, come nel Crocifisso di San Damiano (p. 45), in seguito, nell’arte medioevale, ha gli occhi chiusi poiché si è addormentato nel sonno della morte, come rappresentato da Giunta Pisano (p. 50).
Ma la riflessione artistica sulla morte di Gesù non si esaurisce nel Medioevo o nel Rinascimento. Forse spesso siamo abituati ad identificare l’arte sacra con le espressioni artistiche del passato ignorando come nell’epoca contemporanea il dramma della croce abbia continuato a scuotere gli artisti. Dall’Asta, che è un grande studioso dell’arte contemporanea, ci propone così una riflessione sulla produzione artistica di Georges Rouault, di Marc Chagall, di Pablo Picasso, di Giacomo Manzù, Nicola De Maria e molti altri.
Rispetto ai precedenti lavori già citati, Dall’Asta si sofferma anche sulla rappresentazione della morte di Gesù nel cinema. Per il gesuita, anche se non tutte le opere cinematografiche che si occupano in qualche modo della morte di Gesù riesconono a scuotere nel profondo l’animo dello spettatore, è comunque indubbio che fanno “emergere come la figura di Gesù sia stata e sia tuttora uno degli archetipi più riconoscibili nel mondo moderno” (p. 178).
Il testo di Dall’Asta può essere un utile strumento per tutti coloro si sono recati in pellegrinaggio a Torino per l’ostensione della Sindone e vogliono continuare a meditare sulla Passione di Cristo, poiché, come dimostrato da un altro gesuita, il padre Heinrich Pfeiffer, il volto sindonico, assieme a quello di Manoppello, costituisce l’archetipo di tutte le rappresentazioni di Cristo.